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sabato 17 maggio 2014

My life in Tanzania (Capitolo 27) 'Le 10 cose che mi mancanodell'Italia'



Ci sono cose che non ti mancano assolutamente. E lo sappiamo.
L’Italia ,vista con gli occhi di un’ italiano  è più o meno la stessa.Espatriato e non.
La critica è alla porte. In Italia non va bene nulla e non c’è futuro.
Un po’ Catastrofica ,come sempre.

E invece oggi pensavo a tutte quelle cose che mi piacerebbe fare appena arrivata in Italia. Pensavo a tutte quelle cose che in effetti mi mancano tantissimo. Cose per certi versi ovvie ma che, ad esempio 3 anni fa, non avrei mai minimamente pensato mi sarebbero un giorno  mancate così tanto.
Quando vivi fuori le tue percezioni sono totalmente diverse.Forse tendi quasi a idealizzarla la tua terra.

Ad ogni modo queste sono le prime cose che in effetti mi vengono in mente:

       1- CAMMINARE!
Riutilizzerò le mie gambe per camminare.
Lo so che sembra assurdo ma non è una cosa che manca solo a me. Parlando con tutti gli altri expats noto che è una delle cose che pesa a tutti. Sia italiani, che svedesi o finlandesi.
Qui non si cammina mai,non ci si sposta mai a piedi.
Ed è una cosa che in Italia davo per scontata …fare una normalissima passeggiata.
Tanto scontata che delle volte mi scocciavo e prendevo la macchina. Pensa tu, che stupidità!
Invece tra poco in Italia potrò uscire di casa e andare a piedi.
 UTOPIA!
Che poi oltre al fatto che a Dar non ci sono marciapiedi, siamo anche in piena stagione delle piogge. Se trovi un pezzo di strada che ti sembra percorribile a piedi stanne certo che è un fogna aperta.

Meglio non provare.     
  
 
        Passeggiata a Modica (Rg)



      2 -   PARLARE NELLA MIA LINGUA…SEMPRE.

LUI,il mio boyfriend, è italiano e parlo anche italiano con amici italiani qui a Dar.
Ma nella maggior parte delle ore della mia giornata comunico con le persone in inglese e per quanto delle volte sia un bene (perfezionare una lingua non può che essere vantaggioso)devo dire che dopo 10-12  ore di fila può stancare terribilmente (per fortuna sempre meno).
Inoltre in inglese perdo parte delle mia ironia tipicamente italiana.
E soprattutto perdo  le battute che tutti facciamo nei nostri dialetti.
Un “camaffari?” (Che facciamo,in catanese) o un “te possino” (romano) non hanno corrispondenze in inglese. O almeno io ancora non le ho trovate.

Dajeeee



     3- PARLARE CON LA TUA AMICA E …VEDERLA DAL VIVO
Grazie a skype, whats up & co., l’ho detto tante volte ,essere expat è davvero più facile.
 Le notizie belle (e a volte anche le brutte )viaggiano velocemente.
Ma nessun social network potrai mai sostituire ovviamente il contatto con le persone.
Di questo te ne rendi conto davvero quando vivi fuori. Perchè non hai alternativa.
Sto iniziando ad avere una sorta di insofferenza ai social network. Proprio perché è realmente il mio unico modo di comunicare con gli amici e con la famiglia.
A volte non si chiede come si sta, si va nella pagina del profilo per vedere se va tutto bene.
Mi è capitato tempo fa di sentire un amico e di raccontargli varie novità e la sua risposta fu ma non lo hai scritto su facebook.

TERRIBILE.

Cosa c’è di più bello che parlare (dal vivo) con la tua amica e ridere fino a sentirsi male (senza smile e faccine varie?)
Priceless

     4 -LA FAMIGLIA
Quando ce l’hai accanto non ti rendi conto o te ne rendi conto solo in parte  quanto hai bisogno di parlare con i genitori. I miei ,per fortuna sono giovani e in salute  e non hanno realmente bisogno di me.
Però i genitori sono due e loro sono il punto fermo della tua vita e lo saranno sempre.
Indiscutibilmente ti mancano tanto. Loro capiscono tutto anche se non parli.


    5 - Il MIO MERAVIGLIOSO BROTHER
Io e mio fratello abbiamo 10 anni di differenza. Abbastanza.
Mi sento un po’ mamma e un po’ sorella con lui. Una via di mezzo.
Un po’ come una mamma vorrei evitargli tutte le str… che ho fatto io nel passato ma come una sorella voglio che si goda la vita al massimo e si diverta.
E mi manca tantissimo. That’s all .

     6- Lo SPRITZ
  Non inteso unicamente come alcohol, ovviamente, ma più come momento quando incontri gli amici.
Una sera “easy “,una sera qualunque.
 Davanti a uno Spritz parli di progetti, ti vengono idee, rispolveri il passato ,guardi il futuro e ti fai tante ma tante risate.
Ho conosciuto tanta gente qui a Dar.
Gente meravigliosa, davvero.
Ma le amicizie di sempre sono un’altra cosa. E si sa.
       Aperitivo a Marzamemi (Sr)

   7 -LO SPORT
Pur essendoci qui a Dar delle palestre è chiaro che non possono essere paragonate a quelle italiane. Ma non è questo il punto.
Piu' che la palestra mi manca lo sport all’aria aperta,nel mio caso correre,che mi piaceva davvero tanto.
Qui correre per le strade equivale a una persona che si vuole lanciare nel Tevere.
E’ un suicidio premeditato.
Non esiste nessuna concezione di sport, di parco pubblico,di natura.(Chiaramente mi riferisco unicamente a Dar,non alla Tanzania).
 La gente in genere qui non ama fare sport, lo considerano troppo stancante. E inutile.
Meglio mangiarsi un piatto di Mishkaki e patatine.

8 -CUCINARE
 Mi manca tanto cucinare.
In Italia,la mattina ti svegli con un’idea ,vai al supermercato o al mercato, la acquisti e la cucini.
STOP.
Al 99 % trovi tutti gli ingredienti.
Qui no. Quello che trovi te lo fai piacere e basta.
Però passa la creatività. Che sta alla base del cucinare.
 Quindi a parte le cose “basiche”della sopravvivenza non faccio altro.
       Cacio e Pepe

9 -LE ZANZARE ITALIANE
In  Tanzania il problema delle zanzare è purtroppo reale.
La malaria esiste e non ha pietà per nessuno.
E la dengue.
Quindi quando una zanzara ti punge ti fai davvero diecimila pippe .Potrebbe essere LEI.
Motivo per cui lo spray antizanzare è per me diventato un  valido compagno di vita giornaliero.
Lo metto in automatico. La mattina e la sera. Più volte al giorno.
Inizialmente la mettevo unicamente dopo il tramonto. Momento in cui si ha possibilità attirare le zanzare portatrici di MALARIA.
E invece no. Quest’anno oltre alla malaria c’è stato un aumento di casi di DENGUE, una febbre meno pericolosa della malaria ma sempre da evitare.
Io non sono una che si angoscia. Attuo la tecnica del “non ci penso” e fino adesso non ho mai avuto nulla.
 Però pensate a quanto possa essere inquietante vedere una zanzara e pensare che questa possa farti passare un mese a letto in fin di vita.

W le simpatiche e innocue zanzare italiane.

 10- SHOPPING
Inizialmente pensavo che non sarei sopravvissuta per mesi interi senza comprare una borsa, una pashmina o un paio di scarpe.
E infatti per certi versi non ce l’ho fatta.
Ho cercato  di colmare il desiderio irrefrenabile e impulsivo di acquisto, tipico femminile, dandomi alla frutta e alla verdura.
LUI si trova la cucina  piena di manghi e papaye senza capirne il vero motivo.
E un impulso che è difficile da gestire .
Provate a immaginarvi voi stessi senza comprare nulla per mesi e mesi (tranne alimenti).
Sicuramente avrò uno shock cardiogeno nel primo Zara in cui entrerò.
 L’ho messo in conto.




martedì 22 aprile 2014

My life in Tanzanìa (capitolo 24)'La moda in Tanzania'





Un altro  aspetto che vorrei farvi conoscere è la moda.

La moda??!!! Direte voi.

Nessuno si immagina che in Tanzania ci sia una moda. E tantomeno  lo immaginavo io.
Ma invece è così.
Le ragazze tanzane hanno una passione per la moda che nessuno si aspetta.

Parliamo dell’abbigliamento.
Indubbiamente sono attratte dalla moda occidentale . Tutto quello che è occidentale per loro è il top del top.
I negozi di abbigliamento tanzaniani sono pieni di roba pseudo-cinese importata da Hong Kong ,dagli Emirati Arabi o dal Vietnam.
Personalmente la proprietaria del negozio si reca in queste città,carica i bagagli all’inverosimile e porta la merce a Dar per venderla al suo negozio. E la merce va letteralmente a ruba.
Per quanto riguarda le taglie... ti accontenti. Se trovi la tua bene altrimenti le porti dal sarto e te le fai adeguare. Oppure le metti di una taglia diversa.
Importano di tutto dai vestiti ai cappelli,dalle borse alle scarpe. Purché sia alla moda.
Lo scorso anno ho visto delle ragazze indossare i famosi stivali “ugg” pur non essendoci (ovviamente)nessuna necessità trattandosi di stivali tipicamente invernali.
 Ma la moda è moda e sappiamo quante sciocchezze può portarci a fare (vedi gli anni 80 e i capelli cotonati).
Oltre a seguire la moda occidentale,a loro piace tantissimo utilizzare le loro stoffe. E qui arriviamo al pezzo forte.
Le loro stoffe sono molto belle e molto originali. Le indossano tutti. Grandi e piccoli. Spesso anche gli uomini.
E’ facilissimo, vai al mercato scegli la stoffa e poi chiedi a un sarto di fartelo fare su misura.
Non è costoso come in Italia, un vestito su misura può costarti al massimo 20-30 euro.
La mia amica Rose mi ha gentilmente fornito le sue foto così da poterverle mostrare.









Come vedete Rose ,che rappresenta in pieno la tipica ragazza alla moda tanzaniana di cui parlavo prima,sfoggia ogni volta pettinature diverse.
E qui volevo arrivare.
Inizialmente mi capitava di incontrare una ragazza e di presentarmi “Nice to meet you, I am Valentina”
La stessa ragazza poi la rincontravo dopo settimane e io ancora “Nice to meet you, I am Valentina” e magari questa mi guardava un po’ male.
Semplicemente non le riconoscevo per via delle loro acconciature.
Che cambiano ogni settimana.
Ogni settimana (o a volte anche di più) loro cambiano completamente look e fatichi davvero a riconoscerle.
Un giorno le vedo in Braids (treccine) il giorno dopo ricci stile afro e un altro giorno con i capelli lisci.
Secondo me lo fanno per far rincoglionire gli expats.



I costi delle acconciature variano in base al lavoro impiegato. E in base al tipo di parrucca o posticcio che viene applicato. Varia dai 20.000 scellini (10 euro) a 100.000 scellini (50 euro).
Per un attimo avevo pensato di fare anche io le treccine,pensavo che fosse il posto più adatto per farle.
Figo ,no?
Ma poi ho visto un giorno Rose dolorante e ho pensato che vado bene anche senza treccine.
Sono dolorose i primi due giorni … ma in genere il dolore è sopportabile. 
In genere.
A Rose un giorno le avevano fatto delle treccine talmente tirate da non poter riuscire a dormire e solo con qualche antidolorifico ildolore si era placato.
Il motto “Se bella vuoi apparire un po’ devi soffrire”  è stato secondo me inventato in Tanzania.
Una sofferenza letterale.
Altro che ceretta.
Poi …le unghie.Nail art.
I saloni di bellezza propongono delle unghie finte esattamente come in Italia.
Sono gusti, si sa. Ma se in Italia ho visto delle unghie esagerate in Tanzania ho visto delle cose che mi si è bloccato il respiro.
Eh daje con unghie di 10 cm maculate… na’ chiccheria.
Ma anche questa è moda e va accettata (anche se io ancora un po’ fatico).
Per il resto è come da noi,con un tocco di esagerazione per certi versi.
L’abbigliamento rappresenta lo status sociale e va sfoggiato al massimo.
Questo aspetto è particolarmente in evidenza ai matrimoni tanzaniani, un vero e proprio evento sociale che non e' altro che un modo per sfoggiare ricchezze e averi (quindi come in Italia o anche peggio).
Ma il matrimonio tanzaniano merita un post a parte perché è proprio un evento mondano senza prececenti.
 Un po’ come la notte degli Oscar.
E penso pure di essere riduttiva…












giovedì 10 aprile 2014

My life in Tanzania (Capitolo 21) 'Considerazioni'

Ciao a tutti!!

Qualche giorno fa è stata pubblicata la mia intervista su Italiansinfuga .
Non mi avevano mai fatto un'intervista nella mia vita. Tanto meno sul Blog,figuriamoci.
Quindi ci ho messo un po’ per riflettere sulle risposte.
Chiaro è che era  un' intervista generica e  ho dovuto in poche righe parlare della Tanzania e del Blog.
Cosa non semplice.
Pochi giorni dopo ne è stata pubblicata un’altra per un altro sito,in lingua inglese su   xpatgirls.com .
Tre giorni fa è stata pubblicata un'altra per Viviallestero.com .
Grazie a queste interviste il numero dei lettori è aumentato notevolmente.
Il Blog inizia a girare davvero.
Per quanto io volessi inizialmente evitare di collegarlo a Facebook o ad altri social networks mi resi conto sin da subito che questo era pressoché impossibile.
O perlomeno,non avrei avuto lo stesso numero di lettori.
Per esempio Instagram.
Ho creato un profilo ‘mylifeintanzania’che sta riscuotendo un discreto ma inaspettato successo.
Le immagini in effetti,hanno il loro fascino e sono quelle a colpirti prima delle parole.
E per le parole ,per leggere dunque , serve tempo che non tutti, mi rendo conto ,possiedono.
Grazie a questo Blog sono riuscita a mettere luce su alcuni punti della mia vita e sono riuscita finalmente ad ammettere quanto davvero io sia stata fortunata ad avere avuto la possibilità di una esperienza del genere.
Con il mio blog ho cercato di comunicare inizialmente, come un evento terribile,come perdere il lavoro,possa poi essere usato come “scusa” per poter chiudere una porta nella propria vita e aprire il “famoso”portone di cui si parla spesso.
Non tutto il male viene per nuocere.
Bisogna guardare sempre il lato positivo delle cose, o almeno provarci.
Il primo passo è fondamentale. Non aspettarti che lo facciano gli altri per te.
Tu sei il responsabile di te stesso.
Non permettere mai agli altri di dirti cosa è giusto o non è giusto per te.
Non permettere che i giudizi degli altri ti feriscano e  blocchino il tuo percorso.
Non permettere agli altri di dire chi sei tu.

La Tanzania è una terra meravigliosa.
Senza questa esperienza in Tanzania non avrei mai imparato tutto ciò,non avrei mai visto tutto ciò.
Non avrei avuto modo di arricchire la mia vita con simili esperienze.
Aveva ragione il mio amico M. di cui ho parlato nel capitolo 5 , gli aspetti negativi sono stati superati dagli aspetti positivi
E inizialmente non lo avrei mai detto.
Per esempio,le persone care.Gli affetti.
Questa lontananza "forzata" mi ha fatto capire  quali sono i veri affetti.
Gli amici,quelli veri,ci sono sempre. Anche se vivi a 20.000 km di distanza.
Il post  in assoluto più letto è stato il 16° ‘Che se magna in Tanzania’.
E mi fa ridere perché è stato un post che ho buttato così … senza troppi pensieri.Non mi aspettavo tanto.
Quello che invece è stato per me uno dei più “sentiti” è l’intervista con Akaro (capitolo 19) che è stata davvero emozionante per me. Però ha avuto meno lettori del numero 16.
Strano,no?
Mi piace sapere come il lettore percepisce i miei post.
Le idee mi vengono anche così.
Mi vengono dai commenti e dalle considerazioni dei lettori.
Per questo motivo vi invito ancora a farmi domande e a scrivermi.
Mi fa piacere aver scatenato in voi questa curiosità. La curiosità di capire come si vive in una  grande città di un continente africano.
Del resto io per prima ne sono stata colpita ed è per questo motivo che ho pensato all’idea di questo BLOG.
Ero un po’ restia inizialmente, perché avevo paura di apparire a volte troppo superficiale( per esempio con la twerk dance,capitolo 18) o forse un po’ egocentrica nel raccontare la mia vita attraverso i post(i primi capitoli,in cui parlo unicamente di me)
L’idea che il70 % , credo,delle persone  ha dell’Africa (compresa la mia ,in passato) è completamente differente da quella che invece  è realmente.
Innanzitutto l’Africa ,non dimentichiamo, che è un continente e come tale gli stati sono diversissimi tra loro.
A loro volta gli stati ,presentano tante differenze al loro interno.  
La mia esperienza è relativa principalmente a Dar es Salaam dove vivo, ai Safari e agli altri mini viaggi che ho fatto in quest’ultimo anno.
Probabilmente chi va in Botswana ha un’esperienza,chi va in Congo ne avrà un’altra completamente opposta.
Una delle cose che questa esperienza mi sta insegnando è proprio a non dare le cose per scontate come spesso,involontariamente, tendevo a fare.

Con questo post sto  solo  semplicemente traendo, in qualche modo, le  "conclusioni" di questi primi 3 mesi del blog  e ringraziarvi per la vostra partecipazione.

Tutaonana!!
(a presto!!)










martedì 8 aprile 2014

My life in Tanzania(Capitolo 20) 'Trasporto pubblico a Dar es Salaam'



 La frase ironica di LUI, nei miei primi giorni a Dar es Salaam ,era:


 “ ‘A Va…pijamose er DALLA DALLA”


Dalla Dalla (Dar es Salaam)




Il Dalla Dalla è il bus che fa parte del trasporto pubblico di Dar es Salaam.
Dicevo “ironica” perché vedeva la mia faccia sconvolta mentre guardavo
 questi bus minuscoli ma stracolmi di gente all’ inverosimile.

E' decisamente differente dal Bajaj che è invece una sorta di taxi privato (vedi capitolo 9).
Bajaj


Il Dalla Dalla è chiamato così  da “dollar-dollar” in quanto pare che il prezzo fosse proprio 1 dollaro.
Questi mini-pullmini ,che provengono dal Giappone,sono tantissimi.Anche se minimamente sufficienti alla numerosa popolazione di Dar.
Gli autobus non hanno i numeri come da noi. Ogni bus infatti, ha  una scritta ,nella parte anteriore,che ti dice la direzione .Stop. 
Non è molto semplice utilizzarlo, in quanto non essendoci il numero devi avere almeno una cartina per capire quale sia il Dalla-Dalla giusto.

Dalla Dalla(Dar es Salaam)

Il dalla-dalla all’orario di punta è stracolmo di gente. Credo che ,sulla carta ,abbia una capienza di 20 persone ma ne trasporti anche 50.
O forse anche di più.
L’aria dentro è irrespirabile,spesso i finestrini sono rotti così da evitare ogni possibile riciclo di aria.
Il Costo è di 500 Tsh (Tanzanian scelling) ovvero 20 centesimi di Euro. Può aumentare fino a 800 Scellini se fai un percorso più lungo.
Il Dalla Dalla è un'esperienza di vita che va fatta. Per un europeo potrebbe essere un’esperienza incredibile. O orribile.
Dipende dai punti di vista.
Ovviamente per scrivere questo post  ho dovuto fare necessariamente questa esperienza. Strano ma vero, non avevo mai preso il Dalla-Dalla.



Impieghi il triplo del tempo per fare lo stesso percorso che faresti in Bajaj o in scooter.
Quindi a conti fatti non  conviene. Chiaramente a me, perché  posso permettermi mezzi alternativi.
E ho praticamente “costretto” LUI  a prenderlo con me.
Non so se fosse più divertente il Dalla-Dalla o la sua faccia scocciata e terrorizzata allo stesso tempo.


Funziona così.
Ti metti li alla fermata. E aspetti.
 La fermata non è però sempre  segnalata .
Se non è segnalata lo puoi intuire.
Da cosa?
 Spesso vedi   tanta gente in piedi che aspetta in un determinato punto e questo può portarti alla conclusione che quella sia proprio una fermata dell’autobus.
 Chiaramente il tempo di attesa è variabile. Varia dai 5 ai 90 minuti.
Ma pure a Catania. E pure a Roma.
Quindi la cosa  non mi sconvolge .
Quando arriva ,sali su. E li, vince il più forte.
Staffetta con salto triplo.
Pugni e gomitate.
Oltre all’autista c’è  un altro uomo, una specie di controllore ,che  è li per farti il biglietto. Che si fa SOLO a bordo.
Se sei fortunato trovi posto. Altrimenti aspetti in piedi.
Ora c’è da dire che noi abbiamo preso il Dalla- Dalla in un giorno festivo, di domenica. Quando non c’è quasi nessuno.

 Cosi  so’ boni tutti , diceva LUI.

Sei figo e meriti rispetto se riesci a prenderlo ,invece, all’orario di punta  di un giorno feriale con 50 persone all’interno .E  qualche gallina.
Hai tutta la mia ammirazione in questo caso.
Quando  la tua fermata si avvicina non è che chiaramente premi il pulsante.
Il pulsante non c’è.
Quindi per “prenotare” la fermata devi semplicemente urlare.
Se tu non hai la voce adatta,chiedi gentilmente a qualcuno di urlarlo per te .O se sei vicino lo dici al controllore.
Per quanto io adesso voglia ironizzarci su (il mio blog ha sempre una base ironica ,come sapete)vi dico che ammiro ,ma proprio tanto ,la gente che la mattina si fa anche 2 ore su questi mezzi per andare a lavorare. Dopo 10 ore o più di lavoro non deve essere piacevole .E ricordiamoci le temperature. Che la mattina possono arrivare tranquillamente a 35 °C.
Se piove è pure peggio perché le strade si allagano e le corsie possono ridursi da due  a mezza.
Con la conseguenza che il traffico non raddoppia, ma si moltiplica.
Per loro è una lotta,come disse il mio amico Christopher,che lo prendeva tutti i giorni.
E’ una lotta riuscire a prenderlo ogni mattina. Spesso sono talmente pieni che non puoi neanche salirci e devi aspettare il prossimo.
Ma anche questo mi era noto in Italia, quindi non dubbiamo stupirci.
Se l'autista del Bajaj è un folle,l'autista del Dalla-Dalla è un pazzo criminale.
Ho visto fare cose agli autisti del dalla dalla che noi umani non possiamo neanche immaginare.
Li ho visti fare rapidi sorpassi invadendo interamente la corsia opposta e costringendo il mezzo su quella strada a fare a sua volta manovre impossibili.
Frecce inesistenti.
Il vero pericolo di Dar es Salaam è il Dalla Dalla.
Una volta averne preso atto, la tua vita ,nella città tanzaniana,sarà completamente diversa.
Il progetto di cambiare i mezzi dei trasporti pubblici è presente  e piano piano stanno cercando di introdurre nuovi mezzi molto più capienti.

Chiaramente questo lascia il tempo che trova.
Al momento ci teniamo i nostri Dalla-Dalla.

E staremo a vedere...











 
Dalla Dalla di Zanzibar

Dalla Dalla di Zanzibar

Dalla Dalla di Zanzibar



martedì 1 aprile 2014

My life in Tanzanìa(Capitolo 19) 'Intervista di un Masai'

Oggi parleremo di un altro aspetto che crea molta curiosità.

La tribù MASAI.

I Masai risiedono in Kenya e in Tanzania.
Sono suddivisi in clan e sottoclan e parlano una loro lingua il  MAA.
Tradizionalmente sono un popolo semi-nomade formato da pastori. Oggi invece si trovano in zone precise del paese come Tsavo ,Amboseli, e Masai Mara.
La loro cultura è basata sull’allevamento del bestiame.
Latte e carne per l’alimentazione. Cuoio e pellame  per  l’abbigliamento.
Recentemente anche riso e patate.
Vivono in una società patriarcale. Gli anziani si incontrano per questioni di carattere generale riguardo la tribù e hanno un potere quasi assoluto per la comunità. Anche per questioni di tipo legale.
La punizione dipende dal tipo di reato. Per le cose più semplici basta una richiesta di scuse o un pagamento di una multa sottoforma di bestiame.
Per i casi più gravi ,come un assassinio,potrebbe essere costretto a non poter più passare nelle terre del clan della vittima o potrebbe essere ucciso dalla famiglia di questi senza essere considerati colpevoli.
La vita di un Masai è caratterizzata da riti e cerimonie che segnano passaggi del suo status, dalla nascita alla morte. Questi riti non fanno altro che accrescere il prestigio sociale.
Per gli uomini oltre ai riti di nascita e morte ci sono i riti di moran (guerriero),”giovane anziano” e “anziano”.
Le donne , dopo il matrimonio ,seguono i riti del marito.
Vivono in delle abitazioni chiamate inkajijik ,fatte di rami ,fango e sterco di animale essiccato. Prevedono un recinto spinoso esterno per proteggersi dagli animali selvatici e un recinto spinoso all’interno per accogliere il loro bestiame la sera.
La prima casa sulla destra dall’entrata principale è la casa del capo famiglia ,poi a seguire la moglie e i figli. I  figli dormono per conto proprio dall’età di 5 anni. Dormono tutti separati,anche marito e moglie.





All’interno la casa è divisa in 3 sezioni. Al centro un focolare per cucinare,da una parte il letto della persona e dall’altra parte un letto per bambini piccoli o un ripostiglio.
Personalmente,essendoci entrata vi dico che è davvero microscopico. Assurdo come riescano a mantenere tutto in così poco spazio.
L’altezza della casa è 1.5 mt.
Il loro abbigliamento è particolare.
I masai hanno cambiato modo di vestire con l’arrivo degli inglesi. Dei colonizzatori.
Prima usavano infatti principalmente pellame,adesso invece utilizzano le tipiche coperte chiamate Shuka.








Sono di cotone a quadri, con colori predominanti rossi e neri per gli uomini. Le donne invece hanno delle tuniche blu,rosse o nere.
Il colore può indicare lo status sociale. Le calzature sono sandali di cuoio o ottenuti da copertoni delle auto.
Particolari sono anche bracciali e collane,i quali colori indicano il clan di appartenenza e lo status della persona. Gli uomini hanno un braccialetto di metallo che è estremamente importante perché viene tramandato dal padre ,prima di morire ,al figlio migliore. E’ quindi un segno di rispetto e di saggezza.
Alcuni masai non rimangono nei villaggi ma vanno a cercare lavoro altrove.
Molti vanno nelle zone turistiche come Zanzibar e alcuni si trasferiscono in città.
Molti Masai, infatti, sono a Dar es Salaam .
Principalmente si occupano di security. Li trovi infatti fuori dai supermercati ,alberghi ,ristoranti ,clubs e discoteche. Sono assunti dal proprietario e il loro principale compito è quello appunto di mantenere la sicurezza e di controllare le auto dei clienti.
Non chiedono assolutamente denaro ma se glielo dai,non si rifiutano di certo.
Per entrare meglio nella vita di un Masai, ho deciso di fare un’ intervista.
Così ho chiesto a un mio amico masai se fosse disponibile.
Lui, ovviamente, è stato felicissimo di accettare.

Lui si chiama Akaro.




-Ciao Akaro! Prima di tutto vorrei dirti GRAZIE per avermi dato questa splendida opportunità di intervistarti. Non è una cosa che capita tutti i giorni incontrare un Masai e di fargli delle domande!
Il piacere è tutto mio,anche a me piace raccontare della nostra tribù e so che voi occidentali ne siete affascinati.
-Esatto!Allora dimmi…quanti anni hai e da dove vieni?
Ho 31 anni. Vengo da Kiteto, un distretto a Nord della Tanzania e il mio villaggio si chiama Msata.
-Da quanto vivi a Dar es Salaam?
Vivo a Dar es Salaam da circa un anno e mezzo.
-Ti piace Dar?
Devo rispondere sinceramente?(ride)
No. Non mi piace. La trovo una città caotica e troppo trafficata. Qui non sto bene. Mi sento fuori posto delle volte. E’ completamente diversa dal villaggio da dove provengo io dove invece regna pace e tranquillità .Anche la gente è profondamente differente. Qui sono tutti più nervosi.
Ci vivo unicamente per lavoro,se potessi tornerei al mio villaggio.
-Sono d’accordo,anche io non amo particolarmente il traffico di Dar. Cosa fai a Dar es Salaam?
Faccio sicurezza presso un Hotel. Da un anno circa. Lo stipendio è basso ma me lo faccio bastare.
Divido casa  con un mio amico, un altro Masai.
Per noi è molto caro vivere a Dar.
-Questo è il tuo primo lavoro dopo che hai lasciato il tuo villaggio?
No, è il mio secondo lavoro. Ho lavorato per due anni per un uomo inglese che faceva il fotografo.
-E di cosa ti occupavi esattamente?
Lui lavorava per una grossa azienda e faceva appunto il fotografo.
 Io ero il suo aiutante.
Mi ha insegnato tantissime cose. E’ il mio migliore amico adesso. Si chiama John.
Io lo aiutavo a fare dei reportages,ad andare in zone dove noi masai abbiamo più facilmente accesso.
-Quindi è per questo motivo che parli così bene in inglese?Dove lo hai imparato?
Me lo ha insegnato John.
Quando lo conobbi ad Arusha, lui era in cerca di un aiutante per il suo progetto.
Gli dissi che potevo aiutarlo ma che non parlavo quasi inglese. E lui mi disse che mi avrebbe insegnato a parlarlo come lui.
E così è stato.
-Cioè tu vuoi dirmi che parli così bene in inglese senza mai aver fatto mai una lezione?
Si è così. E’ stata tutta opera di John! (Ride)
-Stupefacente. Complimenti! Ma tu parli anche swahili (la lingua ufficiale della Tanzania) e il maa (lingua dei masai)?
Si ,parlo entrambe le lingue. Il Maa lo parlo con la mia famiglia e lo swahili l’ho imparato da piccolo quando andavamo fuori dai villaggi,nei mercati per acquistare e vendere i nostri prodotti.
-Mi lasci senza parole!Parlami della tua famiglia. Loro vivono tutti a Msata?
Si vivono  li. Loro continuano a vivere di pascolo.
Oltre ai miei genitori,ho una sorella più grande e un fratello più giovane.
Tu sei andato a scuola?
No. Mio padre preferiva mi occupassi dei nostri pascoli e della nostra terra.
Però ho imparato oltre all’inglese altre materie da John.Come la matematica.
 Mio fratello però va all’università.
Tuo fratello va all’università??
Si,studia Chimica all’università di Arusha.
John ha finanziato i suoi studi. Anche per questo gli devo tanto.
Mio padre non voleva,perché diceva che doveva rimanere li al villaggio per lavorare ,ma per fortuna John,mia madre e un mio zio sono riusciti a fargli cambiare idea. Abbiamo anche venduto 5 mucche per dargli altro denaro.
-Questo John deve essere una persona meravigliosa!
Raccontaci della tua infanzia. I primi ricordi che ti vengono in mente.
Mi sono sempre preso cura della nostra terra e dei nostri animali sin da piccolissimo.
Il primo ricordo risale verso i 9-10 anni quando mio padre mi tolse gli incisivi con il coltello.
Anche questo so che ti scioccherà!
Davvero?E perché??
E’ tradizione .Un nostro rito .Però mi sono fatto abbastanza male !(ride)
-Ci credo che te lo ricordi ancora. So che sono molto importanti per voi i riti. Quelli che segnano i passaggi della vostra vita. Parlamene un po’.
Si,moltissimo .Verso i 7-10 anni c’è quella de laiuni in cui avviene la cerimonia della circoncisione.
Poi quella del Moran * dai 15 ai 30 anni. Poi Orpanian * e poi Orcuvia* ( molto grande)  .Ci differenziamo con i vestiti o con gli accessori.
-Chi è che decide il passaggio?
 L’anziano del villaggio. E’ lui che ci fa passare da uno status a un altro. Io adesso sono un Moran.
-Chi ti da questa stoffa?
Me l’ha data mio padre. Sono due pezzi di stoffa legati con una cintura di cuoio .Ne ho un ricambio quando lo devo lavare.
Si compra al mercato delle stoffe. Si chiama Shuka.
-E il bastone?
Il bastone mi viene dato per la prima volta da molto piccolo.
Verso i 5 anni quando mi mandarono  nei pascoli, nelle foreste. E’ un modo per addestrare i ragazzi. Per due/tre mesi sei solo e devi cavartela da solo. Ogni tanto viene qualcuno a portarci del cibo e a farci fare un vero e proprio allenamento di corsa e resistenza.
Cosa mangiate?
Mi manca tanto il mio cibo. Qui a Dar non posso mangiare le cose che mangiavo nel mio villaggio.
Nella nostra terra la nostra alimentazione si basa su carne ,sangue e latte principalmente .
Qui a Dar la carne e il latte sono molto cari.
Quindi mangio principalmente ugali  e verdure.
Ti manca casa tua?
Si,tanto. Torno a casa ogni 2-3 mesi durante i giorni festivi. Vado in autobus. Il viaggio dura 8 ore e costa 20.000 Scellini. Molto caro. (meno di 10€)
Akaro ma gli accessori che indossi hanno un significato particolare?
Si ,sono l’appartenenza alla tribù.
Sono stati fatti a mano da mia sorella.




Akaro io avrei mille cose cose ancora da chiederti. La tua storia è davvero interessante.
Per questa volta però ci fermiamo qui.
Ti ringrazio tanto per la tua disponibilità!
Grazie a te Valentina è stato un piacere parlare con te!



Questa è la mia intervista. E’durata più o meno mezzoretta ma poi lui doveva tornare al lavoro e abbiamo dovuto terminare in fretta.
Akaro, pur avendo imparato a scrivere dal suo amico John (una persona semplicemente meravigliosa) mi ha mostrato qualche difficoltà nei nomi nella lingua “Maa”.
*Questo per dirvi che la pronuncia è quella che ho scritto , ma, ecco, non ci metterei la mano sul fuoco per quanto riguarda il modo esatto in cui si scrive.
Appena arrivai a Dar fui colpita da questa gente. Mi incuriosivano tanto. E tutt’ora mi piace scherzare con loro e farmi raccontare qualche storia.
Spero di riuscire  a parlare ancora con Akaro e di raccontarvi altre curiosità sulla tribù Masai.

Alla prossima!









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