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sabato 19 aprile 2014

My life in Tanzania (Capitolo 23) 'La Punizione'


Non sono mai stata una persona puntuale,lo ammetto.
E’stato sempre un mio grande difetto.

Per fortuna con gli anni(e soprattutto con il lavoro)ho dovuto necessariamente fare dei miglioramenti. Non sono una di quelle persone estremamente ritardatarie ,ma quei 5/10 minuti accadevano spesso. In genere chiamavo poco prima, per avvisare del ritardo.

Ma non pensavo che sarei stata punita così.  
No.

Sarei stata punita a subire ,anche solo in parte, ciò che per anni probabilmente la gente ha subito per me.
In Tanzania il fattore TEMPO è qualcosa che va analizzato.
In Tanzania sono diventata puntuale.
Vi spiego perché.
Tu dai ,a un qualsiasi tanzaniano,un appuntamento  a un determinato orario e ,STANNE CERTO, lui arriverà in un arco di tempo successivo all’orario stabilito. In genere dai 10 ai 60 minuti dopo. Qualche volta ho aspettato anche per due ore.
E non scherzo.
Durante la mia esperienza in hotel nel Sales (vendite)  avevo spesso appuntamenti con i clienti.
Con gli europei il problema non si poneva.Entrambi eravamo in orario.
Ma con i tanzani era tutt'altra storia.

Stabilivamo di vederci,esempio,alle 10?
Beh prima delle 11 non spuntavano. E quando arrivavano non è che magari si inventassero la megaballe delle balle. O magari si scusassero.
No,no. Al massimo se tu,cercando di non esplodere ,chiedessi  Che t’è successo?’   loro quasi infastiditi della domanda ti rispondevano  It was due to traffick jam’ (c’era traffico).
Quasi dovevo chiedere scusa io.
Ma anche gli amici.
Una volta dovevamo andare a una festa con un’amica,un kitchen party, che è una specie di addio al nubilato.
 Non avevo tutta sta voglia di andare,ma ero curiosa di sapere come si festeggiasse qui in Tanzania e ne avrei approfittato per  scattare qualche foto. Comunque sia,  la mia amica il giorno prima,mi disse
 ‘Verrò a prenderti dopo pranzo ’
E già dovevo insospettirmi. Uno può pranzare a che ora vuole.
In genere anche qui in Tanzania il pranzo avviene tra le 13 e le 14.Quindi pensavo dopo quell’orario.
Le scrissi allora il giorno stesso per avere un’idea dell’orario in cui sarebbe venuta.
Mi disse verso le 14.OK.
ORE 14:30 Neanche l’ombra.
ORE 15 La chiamo… tutto ok?’ le chiedo io  e lei rispose ‘Si,sto arrivando,ho avuto un contrattempo.’    
15:30 Non pervenuta
16:30 Non pervenuta
17:30 Non pervenuta
Alle 18 mi sono cambiata e sono andata a  fare un aperitivo sulla spiaggia sotto casa.

E STI CAZZI.

Non ce la fanno è più forte di loro.
Non so cosa gli succeda esattamente ma hanno uno strano rapporto con l’orologio.
Sicuramente è strettamente connesso al loro pole pole style(vedi capitolo 12  )
L’essere pole pole (lento) certamente non aiuta a essere puntuali.
Anche su questo versante all’inizio davo di matto, e adesso non ci faccio più caso. O quasi.
Ho aspettato talmente tante ore sotto il sole di 30 °C da aver compreso pienamente la soluzione.
Innanzitutto devi prendere atto del fatto che glielo puoi spiegare 100 volte e non lo capiscono.
Capito questo ,devi passare allo step successivo.
La contro -tattica.
 Gli dai un orario,ma in largo anticipo,così arriviamo ,più o meno ,tutti alla stessa ora.
All’ autista del Bajaj,se deve venirmi a prendere alle 17 ad esempio,gli dico di venire alle 16:30.A volte pure alle 16.
E lui per le 17:00 sarà li.Garantito.
That’s it.
Questa la chiamo sopravvivenza
Che altro dovrei fare?
Mi è capitato  di aspettare (mille volte) l’autista del Bajaj ,magari in ritardo da mezzora che al telefono mi diceva “… sto arrivando ...”
e io che gli dicevo “… se non sei qui nei paraggi, non preoccuparti, cerco un altro Bajaj.”
E lui “No … No aspettami  sono qui”
E lo aspettavo perchè mi sembrava male,visto che stava venendo apposta per me.
E passava un’altra mezzora.
Vi giuro.
Altre volte invece,quando ero stanca di aspettare (e chiamandolo al telefono non dava segni di vita ) lo prendevo davvero un altro Bajaj ,e capitava che  due ore dopo mi arrivasse  un suo  sms che mi diceva “Sorry…it wasn’t my fault” (scusa…non è stata colpa mia).
Due ore dopo.
E io non vengo da Francoforte sul Meno.
Vorrei sapere come loro,i tizi di Francoforte sul Meno, si siano riusciti ad ambientare qui.
Io ,italiana, made in Sicily ,ci ho messo un anno.
Eppure ci sono tantissimi expats svizzeri,tedeschi o di altri luoghi famosi per la loro precisione.
Vorrei sapere loro come fanno,che tecniche utilizzano.

Quando lavoravo in hotel assunsero una collega. La collega era tanzaniana. Benedicta.
Le fecero fare un mese di prova.
Bene,lei in quel mese di prova riuscì ad arrivare ,ogni giorno ,tardi a lavoro.
Ma no 5/10 minuti. Che già di per se,non è ammissibile.
NO.
Arrivava anche un’ora dopo.
E non è che appena arrivata andasse dritta dal direttore a scusarsi. No
Le si sedeva nella sua scrivania e se qualcuno le osasse chiedere quale fosse stato il problema,lei rispondeva appunto  ‘C’era traffico’.
Quando andava bene arrivava alla fine del serissimo briefing della mattina del direttore e si sedeva come se nulla fosse.
Io fossi arrivata anche soli 5 minuti in ritardo sarei sprofondata.

Poi in pausa pranzo doveva stare un’ora e stava un’ora e mezza.
Se le chiedevi dove fosse finita lei ti rispondeva che le piaceva mangiare con calma.
Mi pare giusto.

Dopo un mese,finita la prova, a lei per una serie di motivi (che vi giuro,non erano neanche  solo questi) non fu rinnovato il contratto.
Arrabbiata lei di ciò cercai di spiegarle delicatamente che “forse” l’arrivare ogni giorno tardi a lavoro poteva aver ,diciamo,facilitato la scelta da parte del direttore.
Lei mi guardò con uno sguardo gelido come se avessi detto la più grossa cazzata dell’universo e mi rispose.
‘It’s an excuse (è una scusa).Non può essere SOLO questo motivo,non si licenzia qualcuno solo per questo.”
E io continuavo ,cercando di spiegarle che essere puntuali in ambito lavorativo è estremamente importante.
Le spiegavo che in Europa se arrivi in ritardo per 3 giorni consecutivi potresti anche rischiare il licenziamento in tronco.
Lei mi guardò come se avessi detto una cosa buffissima.

Infatti scoppiò a ridere.

‘Vale,come on,please stop kidding me’      (Vale per favore,smettila di prendermi in giro)

Niente,inutile, ci avevo solo provato.

Che vi avevo detto?










martedì 8 aprile 2014

My life in Tanzania(Capitolo 20) 'Trasporto pubblico a Dar es Salaam'



 La frase ironica di LUI, nei miei primi giorni a Dar es Salaam ,era:


 “ ‘A Va…pijamose er DALLA DALLA”


Dalla Dalla (Dar es Salaam)




Il Dalla Dalla è il bus che fa parte del trasporto pubblico di Dar es Salaam.
Dicevo “ironica” perché vedeva la mia faccia sconvolta mentre guardavo
 questi bus minuscoli ma stracolmi di gente all’ inverosimile.

E' decisamente differente dal Bajaj che è invece una sorta di taxi privato (vedi capitolo 9).
Bajaj


Il Dalla Dalla è chiamato così  da “dollar-dollar” in quanto pare che il prezzo fosse proprio 1 dollaro.
Questi mini-pullmini ,che provengono dal Giappone,sono tantissimi.Anche se minimamente sufficienti alla numerosa popolazione di Dar.
Gli autobus non hanno i numeri come da noi. Ogni bus infatti, ha  una scritta ,nella parte anteriore,che ti dice la direzione .Stop. 
Non è molto semplice utilizzarlo, in quanto non essendoci il numero devi avere almeno una cartina per capire quale sia il Dalla-Dalla giusto.

Dalla Dalla(Dar es Salaam)

Il dalla-dalla all’orario di punta è stracolmo di gente. Credo che ,sulla carta ,abbia una capienza di 20 persone ma ne trasporti anche 50.
O forse anche di più.
L’aria dentro è irrespirabile,spesso i finestrini sono rotti così da evitare ogni possibile riciclo di aria.
Il Costo è di 500 Tsh (Tanzanian scelling) ovvero 20 centesimi di Euro. Può aumentare fino a 800 Scellini se fai un percorso più lungo.
Il Dalla Dalla è un'esperienza di vita che va fatta. Per un europeo potrebbe essere un’esperienza incredibile. O orribile.
Dipende dai punti di vista.
Ovviamente per scrivere questo post  ho dovuto fare necessariamente questa esperienza. Strano ma vero, non avevo mai preso il Dalla-Dalla.



Impieghi il triplo del tempo per fare lo stesso percorso che faresti in Bajaj o in scooter.
Quindi a conti fatti non  conviene. Chiaramente a me, perché  posso permettermi mezzi alternativi.
E ho praticamente “costretto” LUI  a prenderlo con me.
Non so se fosse più divertente il Dalla-Dalla o la sua faccia scocciata e terrorizzata allo stesso tempo.


Funziona così.
Ti metti li alla fermata. E aspetti.
 La fermata non è però sempre  segnalata .
Se non è segnalata lo puoi intuire.
Da cosa?
 Spesso vedi   tanta gente in piedi che aspetta in un determinato punto e questo può portarti alla conclusione che quella sia proprio una fermata dell’autobus.
 Chiaramente il tempo di attesa è variabile. Varia dai 5 ai 90 minuti.
Ma pure a Catania. E pure a Roma.
Quindi la cosa  non mi sconvolge .
Quando arriva ,sali su. E li, vince il più forte.
Staffetta con salto triplo.
Pugni e gomitate.
Oltre all’autista c’è  un altro uomo, una specie di controllore ,che  è li per farti il biglietto. Che si fa SOLO a bordo.
Se sei fortunato trovi posto. Altrimenti aspetti in piedi.
Ora c’è da dire che noi abbiamo preso il Dalla- Dalla in un giorno festivo, di domenica. Quando non c’è quasi nessuno.

 Cosi  so’ boni tutti , diceva LUI.

Sei figo e meriti rispetto se riesci a prenderlo ,invece, all’orario di punta  di un giorno feriale con 50 persone all’interno .E  qualche gallina.
Hai tutta la mia ammirazione in questo caso.
Quando  la tua fermata si avvicina non è che chiaramente premi il pulsante.
Il pulsante non c’è.
Quindi per “prenotare” la fermata devi semplicemente urlare.
Se tu non hai la voce adatta,chiedi gentilmente a qualcuno di urlarlo per te .O se sei vicino lo dici al controllore.
Per quanto io adesso voglia ironizzarci su (il mio blog ha sempre una base ironica ,come sapete)vi dico che ammiro ,ma proprio tanto ,la gente che la mattina si fa anche 2 ore su questi mezzi per andare a lavorare. Dopo 10 ore o più di lavoro non deve essere piacevole .E ricordiamoci le temperature. Che la mattina possono arrivare tranquillamente a 35 °C.
Se piove è pure peggio perché le strade si allagano e le corsie possono ridursi da due  a mezza.
Con la conseguenza che il traffico non raddoppia, ma si moltiplica.
Per loro è una lotta,come disse il mio amico Christopher,che lo prendeva tutti i giorni.
E’ una lotta riuscire a prenderlo ogni mattina. Spesso sono talmente pieni che non puoi neanche salirci e devi aspettare il prossimo.
Ma anche questo mi era noto in Italia, quindi non dubbiamo stupirci.
Se l'autista del Bajaj è un folle,l'autista del Dalla-Dalla è un pazzo criminale.
Ho visto fare cose agli autisti del dalla dalla che noi umani non possiamo neanche immaginare.
Li ho visti fare rapidi sorpassi invadendo interamente la corsia opposta e costringendo il mezzo su quella strada a fare a sua volta manovre impossibili.
Frecce inesistenti.
Il vero pericolo di Dar es Salaam è il Dalla Dalla.
Una volta averne preso atto, la tua vita ,nella città tanzaniana,sarà completamente diversa.
Il progetto di cambiare i mezzi dei trasporti pubblici è presente  e piano piano stanno cercando di introdurre nuovi mezzi molto più capienti.

Chiaramente questo lascia il tempo che trova.
Al momento ci teniamo i nostri Dalla-Dalla.

E staremo a vedere...











 
Dalla Dalla di Zanzibar

Dalla Dalla di Zanzibar

Dalla Dalla di Zanzibar



martedì 1 aprile 2014

My life in Tanzanìa(Capitolo 19) 'Intervista di un Masai'

Oggi parleremo di un altro aspetto che crea molta curiosità.

La tribù MASAI.

I Masai risiedono in Kenya e in Tanzania.
Sono suddivisi in clan e sottoclan e parlano una loro lingua il  MAA.
Tradizionalmente sono un popolo semi-nomade formato da pastori. Oggi invece si trovano in zone precise del paese come Tsavo ,Amboseli, e Masai Mara.
La loro cultura è basata sull’allevamento del bestiame.
Latte e carne per l’alimentazione. Cuoio e pellame  per  l’abbigliamento.
Recentemente anche riso e patate.
Vivono in una società patriarcale. Gli anziani si incontrano per questioni di carattere generale riguardo la tribù e hanno un potere quasi assoluto per la comunità. Anche per questioni di tipo legale.
La punizione dipende dal tipo di reato. Per le cose più semplici basta una richiesta di scuse o un pagamento di una multa sottoforma di bestiame.
Per i casi più gravi ,come un assassinio,potrebbe essere costretto a non poter più passare nelle terre del clan della vittima o potrebbe essere ucciso dalla famiglia di questi senza essere considerati colpevoli.
La vita di un Masai è caratterizzata da riti e cerimonie che segnano passaggi del suo status, dalla nascita alla morte. Questi riti non fanno altro che accrescere il prestigio sociale.
Per gli uomini oltre ai riti di nascita e morte ci sono i riti di moran (guerriero),”giovane anziano” e “anziano”.
Le donne , dopo il matrimonio ,seguono i riti del marito.
Vivono in delle abitazioni chiamate inkajijik ,fatte di rami ,fango e sterco di animale essiccato. Prevedono un recinto spinoso esterno per proteggersi dagli animali selvatici e un recinto spinoso all’interno per accogliere il loro bestiame la sera.
La prima casa sulla destra dall’entrata principale è la casa del capo famiglia ,poi a seguire la moglie e i figli. I  figli dormono per conto proprio dall’età di 5 anni. Dormono tutti separati,anche marito e moglie.





All’interno la casa è divisa in 3 sezioni. Al centro un focolare per cucinare,da una parte il letto della persona e dall’altra parte un letto per bambini piccoli o un ripostiglio.
Personalmente,essendoci entrata vi dico che è davvero microscopico. Assurdo come riescano a mantenere tutto in così poco spazio.
L’altezza della casa è 1.5 mt.
Il loro abbigliamento è particolare.
I masai hanno cambiato modo di vestire con l’arrivo degli inglesi. Dei colonizzatori.
Prima usavano infatti principalmente pellame,adesso invece utilizzano le tipiche coperte chiamate Shuka.








Sono di cotone a quadri, con colori predominanti rossi e neri per gli uomini. Le donne invece hanno delle tuniche blu,rosse o nere.
Il colore può indicare lo status sociale. Le calzature sono sandali di cuoio o ottenuti da copertoni delle auto.
Particolari sono anche bracciali e collane,i quali colori indicano il clan di appartenenza e lo status della persona. Gli uomini hanno un braccialetto di metallo che è estremamente importante perché viene tramandato dal padre ,prima di morire ,al figlio migliore. E’ quindi un segno di rispetto e di saggezza.
Alcuni masai non rimangono nei villaggi ma vanno a cercare lavoro altrove.
Molti vanno nelle zone turistiche come Zanzibar e alcuni si trasferiscono in città.
Molti Masai, infatti, sono a Dar es Salaam .
Principalmente si occupano di security. Li trovi infatti fuori dai supermercati ,alberghi ,ristoranti ,clubs e discoteche. Sono assunti dal proprietario e il loro principale compito è quello appunto di mantenere la sicurezza e di controllare le auto dei clienti.
Non chiedono assolutamente denaro ma se glielo dai,non si rifiutano di certo.
Per entrare meglio nella vita di un Masai, ho deciso di fare un’ intervista.
Così ho chiesto a un mio amico masai se fosse disponibile.
Lui, ovviamente, è stato felicissimo di accettare.

Lui si chiama Akaro.




-Ciao Akaro! Prima di tutto vorrei dirti GRAZIE per avermi dato questa splendida opportunità di intervistarti. Non è una cosa che capita tutti i giorni incontrare un Masai e di fargli delle domande!
Il piacere è tutto mio,anche a me piace raccontare della nostra tribù e so che voi occidentali ne siete affascinati.
-Esatto!Allora dimmi…quanti anni hai e da dove vieni?
Ho 31 anni. Vengo da Kiteto, un distretto a Nord della Tanzania e il mio villaggio si chiama Msata.
-Da quanto vivi a Dar es Salaam?
Vivo a Dar es Salaam da circa un anno e mezzo.
-Ti piace Dar?
Devo rispondere sinceramente?(ride)
No. Non mi piace. La trovo una città caotica e troppo trafficata. Qui non sto bene. Mi sento fuori posto delle volte. E’ completamente diversa dal villaggio da dove provengo io dove invece regna pace e tranquillità .Anche la gente è profondamente differente. Qui sono tutti più nervosi.
Ci vivo unicamente per lavoro,se potessi tornerei al mio villaggio.
-Sono d’accordo,anche io non amo particolarmente il traffico di Dar. Cosa fai a Dar es Salaam?
Faccio sicurezza presso un Hotel. Da un anno circa. Lo stipendio è basso ma me lo faccio bastare.
Divido casa  con un mio amico, un altro Masai.
Per noi è molto caro vivere a Dar.
-Questo è il tuo primo lavoro dopo che hai lasciato il tuo villaggio?
No, è il mio secondo lavoro. Ho lavorato per due anni per un uomo inglese che faceva il fotografo.
-E di cosa ti occupavi esattamente?
Lui lavorava per una grossa azienda e faceva appunto il fotografo.
 Io ero il suo aiutante.
Mi ha insegnato tantissime cose. E’ il mio migliore amico adesso. Si chiama John.
Io lo aiutavo a fare dei reportages,ad andare in zone dove noi masai abbiamo più facilmente accesso.
-Quindi è per questo motivo che parli così bene in inglese?Dove lo hai imparato?
Me lo ha insegnato John.
Quando lo conobbi ad Arusha, lui era in cerca di un aiutante per il suo progetto.
Gli dissi che potevo aiutarlo ma che non parlavo quasi inglese. E lui mi disse che mi avrebbe insegnato a parlarlo come lui.
E così è stato.
-Cioè tu vuoi dirmi che parli così bene in inglese senza mai aver fatto mai una lezione?
Si è così. E’ stata tutta opera di John! (Ride)
-Stupefacente. Complimenti! Ma tu parli anche swahili (la lingua ufficiale della Tanzania) e il maa (lingua dei masai)?
Si ,parlo entrambe le lingue. Il Maa lo parlo con la mia famiglia e lo swahili l’ho imparato da piccolo quando andavamo fuori dai villaggi,nei mercati per acquistare e vendere i nostri prodotti.
-Mi lasci senza parole!Parlami della tua famiglia. Loro vivono tutti a Msata?
Si vivono  li. Loro continuano a vivere di pascolo.
Oltre ai miei genitori,ho una sorella più grande e un fratello più giovane.
Tu sei andato a scuola?
No. Mio padre preferiva mi occupassi dei nostri pascoli e della nostra terra.
Però ho imparato oltre all’inglese altre materie da John.Come la matematica.
 Mio fratello però va all’università.
Tuo fratello va all’università??
Si,studia Chimica all’università di Arusha.
John ha finanziato i suoi studi. Anche per questo gli devo tanto.
Mio padre non voleva,perché diceva che doveva rimanere li al villaggio per lavorare ,ma per fortuna John,mia madre e un mio zio sono riusciti a fargli cambiare idea. Abbiamo anche venduto 5 mucche per dargli altro denaro.
-Questo John deve essere una persona meravigliosa!
Raccontaci della tua infanzia. I primi ricordi che ti vengono in mente.
Mi sono sempre preso cura della nostra terra e dei nostri animali sin da piccolissimo.
Il primo ricordo risale verso i 9-10 anni quando mio padre mi tolse gli incisivi con il coltello.
Anche questo so che ti scioccherà!
Davvero?E perché??
E’ tradizione .Un nostro rito .Però mi sono fatto abbastanza male !(ride)
-Ci credo che te lo ricordi ancora. So che sono molto importanti per voi i riti. Quelli che segnano i passaggi della vostra vita. Parlamene un po’.
Si,moltissimo .Verso i 7-10 anni c’è quella de laiuni in cui avviene la cerimonia della circoncisione.
Poi quella del Moran * dai 15 ai 30 anni. Poi Orpanian * e poi Orcuvia* ( molto grande)  .Ci differenziamo con i vestiti o con gli accessori.
-Chi è che decide il passaggio?
 L’anziano del villaggio. E’ lui che ci fa passare da uno status a un altro. Io adesso sono un Moran.
-Chi ti da questa stoffa?
Me l’ha data mio padre. Sono due pezzi di stoffa legati con una cintura di cuoio .Ne ho un ricambio quando lo devo lavare.
Si compra al mercato delle stoffe. Si chiama Shuka.
-E il bastone?
Il bastone mi viene dato per la prima volta da molto piccolo.
Verso i 5 anni quando mi mandarono  nei pascoli, nelle foreste. E’ un modo per addestrare i ragazzi. Per due/tre mesi sei solo e devi cavartela da solo. Ogni tanto viene qualcuno a portarci del cibo e a farci fare un vero e proprio allenamento di corsa e resistenza.
Cosa mangiate?
Mi manca tanto il mio cibo. Qui a Dar non posso mangiare le cose che mangiavo nel mio villaggio.
Nella nostra terra la nostra alimentazione si basa su carne ,sangue e latte principalmente .
Qui a Dar la carne e il latte sono molto cari.
Quindi mangio principalmente ugali  e verdure.
Ti manca casa tua?
Si,tanto. Torno a casa ogni 2-3 mesi durante i giorni festivi. Vado in autobus. Il viaggio dura 8 ore e costa 20.000 Scellini. Molto caro. (meno di 10€)
Akaro ma gli accessori che indossi hanno un significato particolare?
Si ,sono l’appartenenza alla tribù.
Sono stati fatti a mano da mia sorella.




Akaro io avrei mille cose cose ancora da chiederti. La tua storia è davvero interessante.
Per questa volta però ci fermiamo qui.
Ti ringrazio tanto per la tua disponibilità!
Grazie a te Valentina è stato un piacere parlare con te!



Questa è la mia intervista. E’durata più o meno mezzoretta ma poi lui doveva tornare al lavoro e abbiamo dovuto terminare in fretta.
Akaro, pur avendo imparato a scrivere dal suo amico John (una persona semplicemente meravigliosa) mi ha mostrato qualche difficoltà nei nomi nella lingua “Maa”.
*Questo per dirvi che la pronuncia è quella che ho scritto , ma, ecco, non ci metterei la mano sul fuoco per quanto riguarda il modo esatto in cui si scrive.
Appena arrivai a Dar fui colpita da questa gente. Mi incuriosivano tanto. E tutt’ora mi piace scherzare con loro e farmi raccontare qualche storia.
Spero di riuscire  a parlare ancora con Akaro e di raccontarvi altre curiosità sulla tribù Masai.

Alla prossima!









                .










mercoledì 26 marzo 2014

My life in Tanzanìa (Capitolo 18) - 'Nightlife a Dar es Salaam :gli inventori del twerking'-


Quando posto  delle foto  su facebook sulla vita notturna di Dar spesso mi viene chiesto

“a Dar esiste una vita notturna?!?”

Dando quasi per scontato che sia completamente assente.
Ebbene si.
 Esiste. E chiaramente non solo per  i Mzungu (musi bianchi) come me.
Loro,i tanzaniani, hanno anche un'
 intensa vita notturna.
Per certe cose non è neanche così diversa dalla nostra.
Nel senso,che ci si ritrova con gli amici e si prende insieme qualcosa da bere.
 Il concetto rimane quello.
Una cosa bellissima da fare qui è andare in spiaggia. Le spiagge ,per il tanzaniano medio,hanno una funzione completamente diversa dalla nostra. Le spiagge non sono piene di lettini e gente super tatuata che mostra muscoli , addominali e tette plastificate.
Le spiagge sono un luogo di incontro.
 Molti bar sono, infatti, sulla spiaggia e si va li per incontrare gli amici e bere una birra o una Tangawizi (bevanda allo zenzero,vedi  capitolo 16).
E ci si va in genere di pomeriggio,verso le 17.Un po’ come gli inglesi che vanno al pub.
In spiaggia puoi stare li a guardare cose assurde. C’è chi gioca a calcio,chi va in moto,chi fa giochi acrobatici o chi semplicemente si rilassa .Sicuramente non per fare il bagno,visto che molti non sanno nuotare.
Una delle mie spiagge  preferite è Coco Beach ma anche Mbalamwezi beach  (leggi mbalambuezi) non mi dispiace per nulla.


Mbalamwezi Beach

Mbalamwezi beach

Coco beach

Coco beach

Bagamoyo beach

Bagamoyo beach

Mishikaki e Patatine

Bagamoyo beach

Bagamoyo beach

Bagamoyo beach

Bagamoyo beach

Bagamoyo beach





La nightlife può iniziare così.
Può continuare  nello stesso posto  cenando magari con un piatto di Mishkaki (spiedini di carne)con patatine fritte oppure andare da un’altra parte.
Non ci sono tantissimi pubs,bars o clubs come da noi in Europa ,ma ne hanno un discreto numero.
Molti  locali fanno musica dal vivo o serate a tema.
Funziona più o meno come da noi.
Solo che loro bevono tanto. Ovvero. Sono molto simili ai loro colonizzatori di un tempo,gli inglesi. Bevono tanto,tantissimo. Hanno una settimana lavorativa (lunedì -venerdì) calma e poi il weekend si distruggono. Ma si distruggono esageratamente a volte. Proprio come in Inghilterra.
Durante il weekend  i locali organizzano anche delle vere e proprie discoteche. Le più belle sono sulla spiaggia,ovviamente. Le serate in discoteca non iniziano prima dell’una.
La musica in genere è la classica commerciale che c’è anche da noi. 
Magari con qualche colpo anni 90.
E ogni tanto inseriscono qualcosa Indian style  ,vista l’alta percentuale di indiani (il deejay passa da  Bob Sinclar alla  bolliwood  music senza nessuna pietà).
 Le ragazze tanzaniane non hanno alcun minimo pudore in quanto ad abbigliamento (altra caratteristica in comune con gli inglesi).
Sono tutte abbastanza “in carne” e non si creano minimante problemi ad indossare un vestito stretch bianco che farebbe sembrare grassa pure Heidi Klum .
Loro hanno un concetto diverso della magrezza.Per loro più sei in carne ,più sei figa.
Azz… sono nata nel continente sbagliato.
 Il concetto di dieta non è proprio previsto.
L’essere in carne è associato al benessere. Al vivere bene.
Se vedi una tanzaniana in forma e sportiva  (fit) è in genere perché probabilmente è benestante e ha passato metà della sua vita in Europa o in posti simili,prendendo di conseguenza le abitudini occidentali (sono molte,soprattutto a Dar.)
Il tacco in genere è almeno di 15 cm o anche di più.
 Non vogliono passare inosservate.
Ballano tutti.Hanno inevitabilmente una marcia in più di noi.Il ritmo è nel sangue. Ballano anche le donne molto grandi. Le loro danze nazionali sono molto belle.
Ci hanno mostrato qualcosa vicino Arusha una sera.




E loro sono gli inventori del TWERKING che in Italia sta spopolando in un noto programma televisivo su Italia uno.
Da loro si fa twerking da anni.
Daje de twerking
Le prime volte che le ho viste fare questo tipo di danze sono rimasta con la bocca aperta.
Cioè tranquillamente, con un certo savoir faire aggiungo, loro si mettono li in pista e fanno questo movimento che non è poi neanche facile. 
Ore di twerking.Serate di twerking.
Cambia la musica ma loro stanno a fare twerk.E nn si fermano.
E lo fanno tutte. Mica solo quelle più disinibite.
E noi ci scandalizziamo per Miley Cirus.
Novellina.Tie’.
Le ragazze tanzaniane si mettono li in pista e stanno  con il loro amico/fidanzato a fare la twerk dance. Senza SE e senza MA.
Poi magari si rimettono al tavolo e si vergognano a parlarci.

Valle a capì!