Tornai in Italia dopo un mese esatto.
Fu insolito quel rientro.
La sensazione che provai sin dall'aeroporto di Roma Fiumicino fu alquanto strana.
Erano tutti fighi. Tutti troppo belli.
Macchine belle, bei vestiti, bella gente.
Era una gara a chi lo fosse di più.
Mi facevano quasi ridere.
Mi sembravano uno più stupido dell’altro.
Quei primi giorni a Roma passeggiavo per la città.
C’erano i saldi.
La gente faceva la fila fuori dai negozi per comprare vestiti.
Cioè con tutte le cose belle da fare ,specialmente a Roma, e tu passi le giornate in fila per comprarti un paio di jeans? Triste.
I centri commerciali mi nauseavano.
Sono dovuta entrare per comprare della roba.
Ma uscii poco dopo.
Era troppo.
Tutto troppo. Troppo
di tutto.
La prima volta che entrai in un supermercato e provai un
senso di panico nel vedere quegli
scaffali così pieni di roba.
No ,non era stato proprio un bel rientro.
Provai un forte disagio, credo, dovuto a un passaggio
culturale e sociale smisurato.
Non lo avevo messo in conto.
Non così.
Ma davvero io prima in questi posti ci stavo bene?
Durò poco ,per
fortuna,pochi giorni,questo chiamiamolo "smarrimento".
Ma comunque, in quel periodo ,iniziai a osservare tutto e
tutti in maniera diversa.
Cosa era realmente importante?
Perché la gente è sempre triste?
Perché si lamenta di tutto?
Perché non siamo mai contenti?
La risposta che avevo, e che tenevo per me, per educazione,
era semplice.
Perché sta bene.
Sta bene e siccome l’essere umano non si accontenta mai e
va perennemente alla ricerca di qualcos'altro,eccolo li’, intento a seguire qualcosa
di cui ,poi,non ha realmente bisogno.
Problemi inesistenti. Insomma.
E non davo la colpa al singolo uomo. Ma alla società.
E’ la società che ti stressa. Che ti porta allo stremo.
E una competizione continua.
Tutti siamo li,a gara per essere i migliori.
Le migliori lauree, i migliori lavori, la casa migliore, il
telefono migliore, la cena più buona, la macchina più bella, il fisico più figo, la maglia più costosa.
Tutti.
E’ un vortice.
Di cui io non ne ero assolutamente esclusa, ma, da cui mi
ero ,semplicemente,allontanata un attimo e ,ritornando,ero riuscita a vedere oltre.
Ora…non è che servisse andare in Tanzania per capire tutto
ciò. Sono cose che in fondo sappiamo già.
E non che io tornata
mi sentissi, come dire ,una specie di Madre
Teresa. Ovvio che no.
Solo che ero cambiata.
Quel mese fu diverso perché ero
diversa io.
Poi pian piano elabori la cosa e inizi a realizzare il fatto che la colpa non è tua.
Il gap, o chiamiamolo squilibrio, tra paesi ricchi e paesi poveri è una cosa che c'è sempre stata e ,forse ,purtroppo,sempre ci sarà.
Ma non abbiamo potere.
Chi ce l'ha,invece, vuole che sia così.Vuole che ci sia il,GAP. E quando inizi a capire meglio tutto ciò ti sembra un concetto paradossale e pensi,semplicemente,che viviamo davvero un mondo di merda (Pardon).
Comunque sia,queste erano in fondo le primissime impressioni della Tanzania.
Poi mi resi conto che per certi versi era pure peggio,per altri ,invece, non era poi così terribile.
Un mese non è chiaramente sufficiente.
Vedi solo un aspetto.
Dopo un anno qui,credo,di iniziare ad avere una visione,in qualche maniera,più completa.
Torniamo a quel periodo in Italia.
Sapevo che sarebbe stato l’ultimo vero periodo li.
Sarei tornata, certo, ma sarei tornata da “turista”, o
quasi.Sarei tornata per brevi periodi.
Non sarebbe stato più lo stesso. Non avrei più vissuto li.
Allora decisi che
l’ideale fosse passare quelle settimane nel migliore dei modi.
Semplicemente divertendomi.
E lo passai magnificamente.
Feste e serate con
amici.Risate.Tante.
Era un modo per dire addio .Un addio felice, tutto sommato.
Addio ad una vita che non ci sarebbe stata più.
Non ne ero triste, ma consapevole che il cambiamento era
alle porte.
Ti senti come un bambino di 5 anni quando il 24 dicembre
aspetta Babbo Natale.
Non sa cosa lo aspetta ,ma è felice.
Adrenalina.
Nel frattempo fantasticavo su tutte le cose che avrei potuto
fare a Dar.
Aveva ragione la mia Teacher a Londra, Miss N.
Potevo fare ciò che
volevo.
Chiaro è, che ero consapevole di non avere tre lauree ,due
master e un dottorato.
Ma qualcosa su cui puntare ancora ce l’ avevo.
Rafforzai e sistemai il mio curriculum vitae. E soprattutto
lo feci in diverse lingue.
Ne stampai tante copie.
Dovevo essere multidirezionale. E Multitasking.
Ovvero...non potevo più permettermi di guardare solo in unica
direzione.
Non potevo più permettermi, “da grande voglio fare…”
Sono grande.
Non c’è tempo.
Manderò cv ovunque.
Varie direzioni. Varie mansioni.
Una delle prime cose che mi balenò
in testa era di riprendere in mano la mia adorata macchina fotografica e
iniziare a usarla come si deve, in modo da ,magari, poter puntare sul versante
“fotografia”.
Amo la fotografia. Ma con la
fotografia non ci campi. Se sei molto bravo ,magari sopravvivi.
Ma non mi sarei sognata di farlo
come lavoro.
E’ un lavoro artistico.
Non può essere su richiesta ,pensavo.
In più non ho tecnica.
Mi piace tanto ma ho sempre e solo
scattato per me.
Mi piace usare l’istinto.
Ho studiato e sperimentato
pochissimo, in fondo. L’ho sempre ritenuto un hobby.
Ma la Tanzania non era come
l’Europa.
Non c’era questo surplus di fotografi.
Potevo portare qualcosa di diverso.
Allora feci una cosa che volevo
fare da tanto ,tantissimo tempo.
Un corso, breve, di fotografia.
Non credevo di diventare Oliviero
Toscani. Ovvio.
La fotografia è anni e anni di
passione e dedizione.
Non si diventa fotografi dalla
sera alla mattina.
Ma poteva essere un inizio.
Se la via delle fotografia mi
fosse andata male...amen.
Mi sarebbe stato utile comunque
acquisire delle tecniche ,specie in vista del trasferimento in Tanzania, dove
sapevo già avrei fatto una miriade di scatti.
La mia insegnante del corso di fotografia G., persona stupenda che ancora
ringrazio, mi disse quello che volevo sentirmi dire. Esattamente come fecero Y.(la landlady di Londra, la proprietaria di casa) ,come la teacher Miss N. e il mio amico M.
VENDITI.
Sii senza pudore.
Vai a mille.
In Tanzania, hai delle possibilità immense. Non sei in Europa.
E allora decisi che quella poteva anche essere una delle soluzioni.
Ovviamente partire da zero
significava non avere grossi ricavi.
E non solo in ambito fotografico.
Qualsiasi attività avessi fatto, almeno all'inizio ,non poteva certo farmi diventare ricca. Ne ero perfettamente consapevole. Al diavolo, pensavo.
Ma non mi interessava. Non adesso,
almeno. Dopo quasi 8 anni qualcosa da parte l’avevo e poteva bastarmi per un
po’.
Carica e piena di voglia di fare
feci il mio biglietto per Dar per l’inizio di Marzo 2013.
Un biglietto di sola andata.
Un biglietto che significava
tanto.
Detta e raccontata così, sembra
che fossi priva di paura.
La paura di fallire e tornare
indietro più disperata di prima era li che ogni tanto si avvicinava.
Solo che la spingevo via, per far spazio alle mille idee che mi balenavano
in testa.
Non c’era spazio per la negatività.
Continua...
Rose and I -Bagamoyo beach- |
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