sabato 1 marzo 2014

My life in Tanzania (Capitolo 14)-La fortuna-




Mambo!


Mambo in Swahili vuol dire ciao, come va?

In Swahili  i greetings ( i saluti) sono molto,molto utilizzati.
Si salutano sempre. Continuamente. Pure se  ci siamo visti 2 minuti prima.
E pure se non ci conosciamo.
E’ un loro uso.
A volte stanno pure 10 minuti per salutarsi.
Conversazione tipo:

 - Mambo      Ciao,come va?
                                                                               
 -  Poa           Bene
                                                                                   
Habari za leo/asubuhi/mchana/jioni? Come va la tua giornata/mattinata/pomeriggio/sera?
     
 -Nzuri, Asante Sana. Newewe Je?            Bene,grazie.E tu?

 -Ohh safi Kaka. Asante.                                Ohh bene fratello.Grazie

Tutto avviene con la tipica calma tanzana (pole pole , se lo ricordate nei precedenti post).
A questi semplici saluti possono seguire,poi, varie domande. Domande che vanno dai figli/mogli a dove abiti o da dove vieni o dove sei diretto ecc ecc.
Jeremiah, il mio insegnante di Swahili ,disse che imparando i saluti se già a buon punto con la lingua, proprio per  l’importanza che  viene data ai convenevoli.
Dopo un po’ ti viene normalissimo fare questo tipo di conversazione,  anche con una persona che incontri per strada. Specialmente se sei straniero,come me. Sono curiosi di sapere che ci fai  li .E in genere sono felicissimi che glielo dici pure in Swahili.
Tornando a noi.
Dicevo quindi che ero nella fase “invio cv”.
Volevo fare uno stage.
Uno stage mi avrebbe permesso di imparare qualcosa di nuovo e di far pratica.
In fondo era questo quello che mi serviva.
Ma dove?
NGO? Alberghi? Multinazionali? Ambasciate?
I curriculum inviati via email non avevano grande effetto. Ricevevo poche risposte.
Allora pensai , come si suol dire,  che se Maometto non va alla montagna sarà dunque la montagna ad andare da Maometto.
Quindi,una mattina, carica di buon umore e un folder con i miei cv ,cercando di avere un abbigliamento più sobrio possibile (no  stile “peace & love” per intenderci  ,che in Tanzania fa tanto turista europeo) presi un bajaj e dissi al driver che andavamo a fare un giro around the city.
Volevo iniziare dagli alberghi.
Allora iniziai dagli alberghi dove in effetti mi sarebbe piaciuto lavorare.
Iniziai dalla Msasani Peninsula.
Un quartiere pieno di alberghi.
E’ una penisola appunto. Uno dei posti più turistici della città e pieno di Mzungu(bianchi) che portano soldi.
In realtà Dar es Salaam non è una città turistica.
E’ più una città di “passaggio”.
Di passaggio per chi va a fare la favolosa esperienza del Safari, in uno dei tanti e meravigliosi parchi naturali, oppure di passaggio per chi va nella famosa Zanzibar o altre isole meno  conosciute ma sempre incantevoli (tipo Pemba e Mafia).
Quella mattina decisi di iniziare proprio da quel quartiere e poi nel pomeriggio mi sarei dedicata ad un'altra zona. Sapevo fosse una pazzia ma  da qualche parte  dovevo pur iniziare. Ma sapevo che la ricerca sarebbe stata lunga,lunghissima.
Entrai nel primo albergo.

“Salve posso lasciarle un cv?”

  SBAGLIATO      No.
 Me ne resi conto l’istante successivo.
Non si lascia un cv a chiunque. Lui lo prende e lo mette di lato. Non gliene po  fregà de meno.
Le possibilità che lo dia davvero alle risorse umane ,nelle giuste mani, sono ridotte, ridottissime.
Secondo albergo.

“Salve posso parlare con il Managing Director?

Gia’ suonava meglio.
Solo che il tizio alla reception mi disse che non era li. Non era in ufficio.
Consegnai lo stesso il cv ma non ero sicura che sarebbe arrivato a destinazione.
Allora andai in un terzo albergo.
Entrai e ripetei la stessa frase…

”Posso parlare con il Managing Director?”

E la fortuna  e il caso fecero si che la ragazza  alla reception rispose

Si, è dietro di lei”.

Poco distante c’era,infatti, questo signore vestito in suit (abito formale). Mi fece un cenno e mi avvicinai.
Mi presentai. Dissi cosa facevo li. Cosa cercavo.
Lui era li che ascoltava. Senza dire una parola.
Allora pensai che mi avrebbe liquidato da li a un minuto dicendomi  un “Grazie, le faremo sapere.”
E invece no.
Lui mi chiese se l’indomani io fossi disponibile per un colloquio.
Quasi non mi aspettavo questa domanda. 
Rimasi di sasso.
OVVIO CHE SONO LIBERA PER UN COLLOQUIO.
Allora mi disse di mandargli un email con il curriculum e lui mi avrebbe inviato dei moduli da visionare prima dell’incontro.
Sono uscita da quel posto volando ,credo.
Era un’opportunità .Era l’opportunità di un cambiamento .Era quello che cercavo.
Solo che ero un po’ spiazzata.
Semplicemente ,immaginavo, come accade in Italia, che la ricerca sarebbe stata lunga. Mi aspettavo mesi di ricerche .Invece no.
No.
 Bastarono  poche ore.
Non riuscivo a  crederci.
Tornata a casa feci quello che mi disse  lui  e  mi invio il materiale da visionare. Che non era altro che un insieme di punti  e argomenti  che avremmo analizzato al colloquio.
Un colloquio che non facevo da tanti anni.
E in inglese.
Al colloquio arrivai preparatissima. Passai il  pomeriggio precedente  su Youtube.
Scoprii che ci sono tantissimi tutorials su come fare al meglio un colloquio.
Su come porsi, su cosa dire e come dirlo. Si rivelò molto utile.
Youtube o no, il colloquio andò benissimo.
Il mio stage presso questo albergo poteva avere inizio.
Felicissima.

 La mia ruota iniziava a girare

E iniziò così questa mia avventura alberghiera.
Una avventura che si è rivelata molto vantaggiosa e che è stata semplicemente  fantastica sotto ogni aspetto.
Primo su tutti ho imparato una professione nuova.
Una professione che ho dovuto iniziare dall’ABC ,per intenderci.
Mi mise nel settore SALES & MARKETING. Visti i miei studi.
In Italia ,ormai, te lo sogni.
Sei laureato in giurisprudenza e ti mettono a lavorare nel call center a vendere aspirapolveri o a servire whopper al Burger K.
Sei laureato in una cosa e trovi lavoro in un altro ambito. Io non ero ancora laureata in Comunicazione(mancano alcune materie) e mi mise a nel settore corrispondente.
Sales & Marketing  è un settore molto dinamico. Un settore che si è rivelato più bello di come me lo aspettassi. Mi piace. Mi piace parlare con la gente. Mi piace trattare con i clienti. Mi piace proporre un prodotto e venderlo. MI piace fare analisi di mercato. Mi piace avere un progetto e portarlo a termine.
Mi piace far parte di un team e avere una mission da svolgere insieme. Mi piace l’adrenalina prima di un meeting e mi piace quando il capo mi fa i complimenti per il lavoro svolto.
Poi, non per ultimo, ho imparato a lavorare in inglese. Cosa che non avevo mai fatto prima.Non così,almeno.
Non in un contesto di ufficio.
Il direttore con cui feci il colloquio aveva un inglese molto chiaro .Non ci fu alcun problema di comprensione.
Il problema, però, si presentò il primo giorno di lavoro.
Quando venni presentata a tutto lo staff  manageriale.
Una parte dello staff era Tanzaniana e un’altra metà era indiana.
Dovete sapere che a Dar ci sono tantissimi indiani.
Indiani che hanno investito in corporates o che  semplicemente  lavorano  presso altre aziende di indiani.
Tutti i supermercati sono gestiti da indiani. Molte attività sono indiane. Sono un po’ come da noi i cinesi(con meno soldi,forse).
Gli indiani che avevo conosciuto nella mia vita , fino ad allora ,erano gli indiani che abitavano a Londra ,che però avevano un accento più o meno come Queen Elisabeth. Cioè erano nati li e il loro inglese era British.
Invece li in Tanzania, mi ritrovai ,il primo giorno, a parlare con un omone indiano, il direttore, che emetteva dei suoni dei quali non riuscivo a capirne una singola parola.
 In un primo momento pensai che stesse parlando una forma di Hindi ,motivo per cui non capivo quello che stesse dicendo.
Però  ad un certo punto notai che i colleghi tanzaniani gli parlavano in inglese e lui rispondeva con quei strani suoni…

No.

Non può essere.
Quei suoni…quella lingua…NO!NO!
Quei suoni erano… INGLESE.
Se Shakespeare o Sir Thomas Elyot avessero potuto sentire questa roba credo che uno sarebbe diventato carpentiere e l’altro fruttivendolo.
Feci uno sforzo immenso le prime settimane per capire gli inglese degli indiani.
Risollevata anche ,dai colleghi tanzaniani ,che mi rincuoravano dicendomi che anche per loro era stato un trauma adeguarsi a questo Indian-English  e che mi sarei abituata presto anche io a questa “nuova” lingua.
Ci vollero un paio di settimane.
Al contrario, i colleghi tanzaniani invece, parlavano un inglese eccellente .
Molti di loro erano appunto native English. Anche a casa parlavano spesso in inglese.
Questa esperienza mi ha anche permesso di conoscere più a fondo il popolo tanzaniano visto che passavo con loro 9 ore al giorno.
Quasi tutti erano laureati o avevano qualifiche specifiche nel settore di appartenenza. Alcuni laureati in Tanzania, altri invece laureati in UK o negli USA.
In pratica quella meno qualificata li ero io.

Nel nostro immaginario collettivo, in Tanzania, la gente è povera. E poi c’è un ristretto numero di potenti che hanno i soldi e se li tengono per loro.
Invece non  è così. Non proprio.
C’è pure la gente “normale”.
Quella che la mattina prende il bus ,o prende l’auto e va a lavorare. E si fa 8/9 ore in azienda o ufficio, banche, negozi, società di assicurazioni, compagnie  petrolifere, ecc ecc.
Quella gente che fa una vita “normale”. Quella gente non ricca e non povera. Quella che  fa i sacrifici ma riesce a mandare figli a scuola, ad avere magari due auto, ad andare a ballare/cena con gli amici, va dal parrucchiere, ad avere lo smartphone e a  farsi una vacanza .
Insomma come molti di noi in Italia.
La scoperta di questa fascia sociale intermedia mi fece scoprire una realtà tanzaniana  completamente inaspettata.
CONTINUA...



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