Mambo!
Mambo in Swahili
vuol dire ciao, come va?
In Swahili i greetings ( i saluti) sono molto,molto utilizzati.
Si salutano sempre. Continuamente. Pure se ci siamo visti 2 minuti prima.
E pure se non ci conosciamo.
E’ un loro uso.
A volte stanno pure 10 minuti per salutarsi.
Conversazione tipo:
- Mambo Ciao,come va?
- Poa Bene
- Habari za leo/asubuhi/mchana/jioni? Come va la tua giornata/mattinata/pomeriggio/sera?
-Nzuri, Asante Sana. Newewe Je? Bene,grazie.E tu?
-Ohh safi Kaka. Asante. Ohh bene fratello.Grazie
Tutto avviene con la tipica calma tanzana (pole pole , se lo ricordate nei precedenti post).
A questi semplici saluti possono seguire,poi, varie domande. Domande
che vanno dai figli/mogli a dove abiti o da dove vieni o dove sei diretto ecc ecc.
Jeremiah, il mio insegnante di Swahili ,disse che imparando i saluti se già a buon punto con la lingua, proprio per l’importanza che viene data ai convenevoli.
Dopo un po’ ti viene normalissimo fare questo tipo di
conversazione, anche con una persona che
incontri per strada. Specialmente se sei straniero,come me. Sono curiosi di
sapere che ci fai li .E in genere sono
felicissimi che glielo dici pure in Swahili.
Tornando a noi.
Dicevo quindi che ero nella fase “invio cv”.
Volevo fare uno stage.
Uno stage mi avrebbe permesso di imparare qualcosa di nuovo
e di far pratica.
In fondo era questo quello che mi serviva.
Ma dove?
NGO? Alberghi? Multinazionali? Ambasciate?
I curriculum inviati via email non avevano grande effetto.
Ricevevo poche risposte.
Allora pensai , come si suol dire, che se Maometto non va alla montagna sarà dunque la
montagna ad andare da Maometto.
Quindi,una mattina, carica di buon umore e un folder con i miei cv ,cercando di avere un
abbigliamento più sobrio possibile (no stile “peace & love” per intenderci ,che in Tanzania fa tanto turista
europeo) presi un bajaj e dissi al driver che andavamo a fare un giro around the city.
Volevo iniziare dagli alberghi.
Allora iniziai dagli alberghi dove in effetti mi sarebbe
piaciuto lavorare.
Iniziai dalla Msasani Peninsula.
Un quartiere pieno di alberghi.
E’ una penisola appunto. Uno dei posti più turistici della
città e pieno di Mzungu(bianchi) che portano soldi.
In realtà Dar es Salaam non è una città turistica.
E’ più una città di “passaggio”.
Di passaggio per chi va a fare la favolosa esperienza del Safari, in uno dei tanti e meravigliosi parchi
naturali, oppure di passaggio per chi va nella famosa Zanzibar o altre isole meno
conosciute ma sempre incantevoli (tipo Pemba e Mafia).
Quella mattina decisi di iniziare proprio da quel quartiere
e poi nel pomeriggio mi sarei dedicata ad un'altra zona. Sapevo fosse una
pazzia ma da qualche parte dovevo pur iniziare. Ma sapevo che la ricerca
sarebbe stata lunga,lunghissima.
Entrai nel primo albergo.
“Salve posso lasciarle
un cv?”
SBAGLIATO No.
Me ne resi conto
l’istante successivo.
Non si lascia un cv a chiunque. Lui lo prende e lo mette di
lato. Non gliene po fregà de meno.
Le possibilità che lo dia davvero alle risorse umane ,nelle
giuste mani, sono ridotte, ridottissime.
Secondo albergo.
“Salve posso parlare
con il Managing Director?
Gia’ suonava meglio.
Solo che il tizio alla reception mi disse che non era li.
Non era in ufficio.
Consegnai lo stesso il cv ma non ero sicura che sarebbe
arrivato a destinazione.
Allora andai in un terzo albergo.
Entrai e ripetei la stessa frase…
”Posso parlare con il Managing Director?”
E la fortuna e il
caso fecero si che la ragazza alla
reception rispose
”Si, è dietro di lei”.
Poco distante c’era,infatti, questo signore vestito in suit (abito formale). Mi fece un cenno e mi avvicinai.
Mi presentai. Dissi cosa facevo li. Cosa cercavo.
Lui era li che ascoltava. Senza dire una parola.
Allora pensai che mi avrebbe liquidato da li a un minuto
dicendomi un “Grazie, le faremo sapere.”
E invece no.
Lui mi chiese se l’indomani io fossi disponibile per un
colloquio.
Quasi non mi aspettavo questa domanda.
Rimasi di sasso.
OVVIO CHE SONO LIBERA PER UN COLLOQUIO.
Allora mi disse di mandargli un email con il curriculum e
lui mi avrebbe inviato dei moduli da visionare prima dell’incontro.
Sono uscita da quel posto volando ,credo.
Era un’opportunità
.Era l’opportunità di un cambiamento .Era quello che cercavo.
Solo che ero un po’ spiazzata.
Semplicemente ,immaginavo, come accade in Italia, che la
ricerca sarebbe stata lunga. Mi aspettavo mesi di ricerche .Invece no.
No.
Bastarono poche
ore.
Non riuscivo a crederci.
Tornata a casa feci quello che mi disse lui e mi invio il materiale da visionare. Che non
era altro che un insieme di punti e
argomenti che avremmo analizzato al
colloquio.
Un colloquio che non facevo da tanti anni.
E in inglese.
Al colloquio arrivai preparatissima. Passai il pomeriggio precedente su Youtube.
Scoprii che ci sono tantissimi tutorials su come fare al
meglio un colloquio.
Su come porsi, su cosa dire e come dirlo. Si rivelò molto
utile.
Youtube o no, il
colloquio andò benissimo.
Il mio stage presso questo albergo poteva avere inizio.
Felicissima.
La mia ruota iniziava a girare.
E iniziò così questa mia avventura alberghiera.
Una avventura che si è rivelata molto vantaggiosa e che è
stata semplicemente fantastica sotto
ogni aspetto.
Primo su tutti ho imparato una professione nuova.
Una professione che
ho dovuto iniziare dall’ABC ,per
intenderci.
Mi mise nel settore SALES
& MARKETING. Visti i miei studi.
In Italia ,ormai, te lo sogni.
Sei laureato in giurisprudenza e ti mettono a lavorare nel
call center a vendere aspirapolveri o a servire whopper al Burger K.
Sei laureato in una cosa e trovi lavoro in un altro ambito.
Io non ero ancora laureata in Comunicazione(mancano alcune materie) e mi mise a nel settore corrispondente.
Sales & Marketing
è un settore molto dinamico. Un settore che si è rivelato più bello di
come me lo aspettassi. Mi piace. Mi piace parlare con la gente. Mi piace
trattare con i clienti. Mi piace proporre un prodotto e venderlo. MI piace fare
analisi di mercato. Mi piace avere un progetto e portarlo a termine.
Mi piace far parte di un team e avere una mission da svolgere insieme. Mi piace
l’adrenalina prima di un meeting e mi piace quando il capo mi fa i complimenti
per il lavoro svolto.
Poi, non per ultimo, ho imparato a lavorare in inglese. Cosa che non avevo mai fatto
prima.Non così,almeno.
Non in un contesto di ufficio.
Il direttore con cui feci il colloquio aveva un inglese
molto chiaro .Non ci fu alcun problema di comprensione.
Il problema, però, si presentò il primo giorno di lavoro.
Quando venni presentata a tutto lo staff manageriale.
Una parte dello staff era Tanzaniana e un’altra metà era
indiana.
Dovete sapere che a Dar ci sono tantissimi indiani.
Indiani che hanno investito in corporates o che semplicemente lavorano presso altre aziende di indiani.
Tutti i supermercati sono gestiti da indiani. Molte attività
sono indiane. Sono un po’ come da noi i cinesi(con meno soldi,forse).
Gli indiani che avevo conosciuto nella mia vita , fino ad
allora ,erano gli indiani che abitavano a Londra ,che però avevano un accento
più o meno come Queen Elisabeth. Cioè erano nati li e il loro inglese era British.
Invece li in Tanzania, mi ritrovai ,il primo giorno, a
parlare con un omone indiano, il direttore, che emetteva dei
suoni dei quali non riuscivo a capirne una singola parola.
In un primo momento pensai
che stesse parlando una forma di Hindi ,motivo
per cui non capivo quello che stesse dicendo.
Però ad un certo
punto notai che i colleghi tanzaniani gli parlavano in inglese e lui rispondeva
con quei strani suoni…
No.
Non può essere.
Quei suoni…quella lingua…NO!NO!
Quei suoni erano… INGLESE.
Se Shakespeare o Sir Thomas Elyot avessero potuto sentire
questa roba credo che uno sarebbe diventato carpentiere e l’altro
fruttivendolo.
Feci uno sforzo immenso le prime settimane per capire gli
inglese degli indiani.
Risollevata anche ,dai
colleghi tanzaniani ,che mi rincuoravano dicendomi che anche per loro era stato
un trauma adeguarsi a questo Indian-English e che mi sarei abituata presto anche io a
questa “nuova” lingua.
Ci vollero un paio di settimane.
Al contrario, i colleghi tanzaniani invece, parlavano un
inglese eccellente .
Molti di loro erano appunto native English. Anche a
casa parlavano spesso in inglese.
Questa esperienza mi ha anche permesso di conoscere più a
fondo il popolo tanzaniano visto che passavo con loro 9 ore al giorno.
Quasi tutti erano laureati o avevano qualifiche specifiche
nel settore di appartenenza. Alcuni laureati in Tanzania, altri invece laureati
in UK o negli USA.
In pratica quella meno qualificata li ero io.
Invece non è così.
Non proprio.
C’è pure la gente “normale”.
Quella che la mattina prende il bus ,o prende l’auto e va a
lavorare. E si fa 8/9 ore in azienda o ufficio, banche, negozi, società di
assicurazioni, compagnie petrolifere,
ecc ecc.
Quella gente che fa una vita “normale”. Quella gente non ricca
e non povera. Quella che fa i sacrifici
ma riesce a mandare figli a scuola, ad avere magari due auto, ad andare a
ballare/cena con gli amici, va dal parrucchiere, ad avere lo smartphone e a farsi una vacanza .
Insomma come molti di noi in Italia.
La scoperta di questa fascia sociale intermedia mi fece
scoprire una realtà tanzaniana
completamente inaspettata.