martedì 22 aprile 2014

My life in Tanzanìa (capitolo 24)'La moda in Tanzania'





Un altro  aspetto che vorrei farvi conoscere è la moda.

La moda??!!! Direte voi.

Nessuno si immagina che in Tanzania ci sia una moda. E tantomeno  lo immaginavo io.
Ma invece è così.
Le ragazze tanzane hanno una passione per la moda che nessuno si aspetta.

Parliamo dell’abbigliamento.
Indubbiamente sono attratte dalla moda occidentale . Tutto quello che è occidentale per loro è il top del top.
I negozi di abbigliamento tanzaniani sono pieni di roba pseudo-cinese importata da Hong Kong ,dagli Emirati Arabi o dal Vietnam.
Personalmente la proprietaria del negozio si reca in queste città,carica i bagagli all’inverosimile e porta la merce a Dar per venderla al suo negozio. E la merce va letteralmente a ruba.
Per quanto riguarda le taglie... ti accontenti. Se trovi la tua bene altrimenti le porti dal sarto e te le fai adeguare. Oppure le metti di una taglia diversa.
Importano di tutto dai vestiti ai cappelli,dalle borse alle scarpe. Purché sia alla moda.
Lo scorso anno ho visto delle ragazze indossare i famosi stivali “ugg” pur non essendoci (ovviamente)nessuna necessità trattandosi di stivali tipicamente invernali.
 Ma la moda è moda e sappiamo quante sciocchezze può portarci a fare (vedi gli anni 80 e i capelli cotonati).
Oltre a seguire la moda occidentale,a loro piace tantissimo utilizzare le loro stoffe. E qui arriviamo al pezzo forte.
Le loro stoffe sono molto belle e molto originali. Le indossano tutti. Grandi e piccoli. Spesso anche gli uomini.
E’ facilissimo, vai al mercato scegli la stoffa e poi chiedi a un sarto di fartelo fare su misura.
Non è costoso come in Italia, un vestito su misura può costarti al massimo 20-30 euro.
La mia amica Rose mi ha gentilmente fornito le sue foto così da poterverle mostrare.









Come vedete Rose ,che rappresenta in pieno la tipica ragazza alla moda tanzaniana di cui parlavo prima,sfoggia ogni volta pettinature diverse.
E qui volevo arrivare.
Inizialmente mi capitava di incontrare una ragazza e di presentarmi “Nice to meet you, I am Valentina”
La stessa ragazza poi la rincontravo dopo settimane e io ancora “Nice to meet you, I am Valentina” e magari questa mi guardava un po’ male.
Semplicemente non le riconoscevo per via delle loro acconciature.
Che cambiano ogni settimana.
Ogni settimana (o a volte anche di più) loro cambiano completamente look e fatichi davvero a riconoscerle.
Un giorno le vedo in Braids (treccine) il giorno dopo ricci stile afro e un altro giorno con i capelli lisci.
Secondo me lo fanno per far rincoglionire gli expats.



I costi delle acconciature variano in base al lavoro impiegato. E in base al tipo di parrucca o posticcio che viene applicato. Varia dai 20.000 scellini (10 euro) a 100.000 scellini (50 euro).
Per un attimo avevo pensato di fare anche io le treccine,pensavo che fosse il posto più adatto per farle.
Figo ,no?
Ma poi ho visto un giorno Rose dolorante e ho pensato che vado bene anche senza treccine.
Sono dolorose i primi due giorni … ma in genere il dolore è sopportabile. 
In genere.
A Rose un giorno le avevano fatto delle treccine talmente tirate da non poter riuscire a dormire e solo con qualche antidolorifico ildolore si era placato.
Il motto “Se bella vuoi apparire un po’ devi soffrire”  è stato secondo me inventato in Tanzania.
Una sofferenza letterale.
Altro che ceretta.
Poi …le unghie.Nail art.
I saloni di bellezza propongono delle unghie finte esattamente come in Italia.
Sono gusti, si sa. Ma se in Italia ho visto delle unghie esagerate in Tanzania ho visto delle cose che mi si è bloccato il respiro.
Eh daje con unghie di 10 cm maculate… na’ chiccheria.
Ma anche questa è moda e va accettata (anche se io ancora un po’ fatico).
Per il resto è come da noi,con un tocco di esagerazione per certi versi.
L’abbigliamento rappresenta lo status sociale e va sfoggiato al massimo.
Questo aspetto è particolarmente in evidenza ai matrimoni tanzaniani, un vero e proprio evento sociale che non e' altro che un modo per sfoggiare ricchezze e averi (quindi come in Italia o anche peggio).
Ma il matrimonio tanzaniano merita un post a parte perché è proprio un evento mondano senza prececenti.
 Un po’ come la notte degli Oscar.
E penso pure di essere riduttiva…












sabato 19 aprile 2014

My life in Tanzania (Capitolo 23) 'La Punizione'


Non sono mai stata una persona puntuale,lo ammetto.
E’stato sempre un mio grande difetto.

Per fortuna con gli anni(e soprattutto con il lavoro)ho dovuto necessariamente fare dei miglioramenti. Non sono una di quelle persone estremamente ritardatarie ,ma quei 5/10 minuti accadevano spesso. In genere chiamavo poco prima, per avvisare del ritardo.

Ma non pensavo che sarei stata punita così.  
No.

Sarei stata punita a subire ,anche solo in parte, ciò che per anni probabilmente la gente ha subito per me.
In Tanzania il fattore TEMPO è qualcosa che va analizzato.
In Tanzania sono diventata puntuale.
Vi spiego perché.
Tu dai ,a un qualsiasi tanzaniano,un appuntamento  a un determinato orario e ,STANNE CERTO, lui arriverà in un arco di tempo successivo all’orario stabilito. In genere dai 10 ai 60 minuti dopo. Qualche volta ho aspettato anche per due ore.
E non scherzo.
Durante la mia esperienza in hotel nel Sales (vendite)  avevo spesso appuntamenti con i clienti.
Con gli europei il problema non si poneva.Entrambi eravamo in orario.
Ma con i tanzani era tutt'altra storia.

Stabilivamo di vederci,esempio,alle 10?
Beh prima delle 11 non spuntavano. E quando arrivavano non è che magari si inventassero la megaballe delle balle. O magari si scusassero.
No,no. Al massimo se tu,cercando di non esplodere ,chiedessi  Che t’è successo?’   loro quasi infastiditi della domanda ti rispondevano  It was due to traffick jam’ (c’era traffico).
Quasi dovevo chiedere scusa io.
Ma anche gli amici.
Una volta dovevamo andare a una festa con un’amica,un kitchen party, che è una specie di addio al nubilato.
 Non avevo tutta sta voglia di andare,ma ero curiosa di sapere come si festeggiasse qui in Tanzania e ne avrei approfittato per  scattare qualche foto. Comunque sia,  la mia amica il giorno prima,mi disse
 ‘Verrò a prenderti dopo pranzo ’
E già dovevo insospettirmi. Uno può pranzare a che ora vuole.
In genere anche qui in Tanzania il pranzo avviene tra le 13 e le 14.Quindi pensavo dopo quell’orario.
Le scrissi allora il giorno stesso per avere un’idea dell’orario in cui sarebbe venuta.
Mi disse verso le 14.OK.
ORE 14:30 Neanche l’ombra.
ORE 15 La chiamo… tutto ok?’ le chiedo io  e lei rispose ‘Si,sto arrivando,ho avuto un contrattempo.’    
15:30 Non pervenuta
16:30 Non pervenuta
17:30 Non pervenuta
Alle 18 mi sono cambiata e sono andata a  fare un aperitivo sulla spiaggia sotto casa.

E STI CAZZI.

Non ce la fanno è più forte di loro.
Non so cosa gli succeda esattamente ma hanno uno strano rapporto con l’orologio.
Sicuramente è strettamente connesso al loro pole pole style(vedi capitolo 12  )
L’essere pole pole (lento) certamente non aiuta a essere puntuali.
Anche su questo versante all’inizio davo di matto, e adesso non ci faccio più caso. O quasi.
Ho aspettato talmente tante ore sotto il sole di 30 °C da aver compreso pienamente la soluzione.
Innanzitutto devi prendere atto del fatto che glielo puoi spiegare 100 volte e non lo capiscono.
Capito questo ,devi passare allo step successivo.
La contro -tattica.
 Gli dai un orario,ma in largo anticipo,così arriviamo ,più o meno ,tutti alla stessa ora.
All’ autista del Bajaj,se deve venirmi a prendere alle 17 ad esempio,gli dico di venire alle 16:30.A volte pure alle 16.
E lui per le 17:00 sarà li.Garantito.
That’s it.
Questa la chiamo sopravvivenza
Che altro dovrei fare?
Mi è capitato  di aspettare (mille volte) l’autista del Bajaj ,magari in ritardo da mezzora che al telefono mi diceva “… sto arrivando ...”
e io che gli dicevo “… se non sei qui nei paraggi, non preoccuparti, cerco un altro Bajaj.”
E lui “No … No aspettami  sono qui”
E lo aspettavo perchè mi sembrava male,visto che stava venendo apposta per me.
E passava un’altra mezzora.
Vi giuro.
Altre volte invece,quando ero stanca di aspettare (e chiamandolo al telefono non dava segni di vita ) lo prendevo davvero un altro Bajaj ,e capitava che  due ore dopo mi arrivasse  un suo  sms che mi diceva “Sorry…it wasn’t my fault” (scusa…non è stata colpa mia).
Due ore dopo.
E io non vengo da Francoforte sul Meno.
Vorrei sapere come loro,i tizi di Francoforte sul Meno, si siano riusciti ad ambientare qui.
Io ,italiana, made in Sicily ,ci ho messo un anno.
Eppure ci sono tantissimi expats svizzeri,tedeschi o di altri luoghi famosi per la loro precisione.
Vorrei sapere loro come fanno,che tecniche utilizzano.

Quando lavoravo in hotel assunsero una collega. La collega era tanzaniana. Benedicta.
Le fecero fare un mese di prova.
Bene,lei in quel mese di prova riuscì ad arrivare ,ogni giorno ,tardi a lavoro.
Ma no 5/10 minuti. Che già di per se,non è ammissibile.
NO.
Arrivava anche un’ora dopo.
E non è che appena arrivata andasse dritta dal direttore a scusarsi. No
Le si sedeva nella sua scrivania e se qualcuno le osasse chiedere quale fosse stato il problema,lei rispondeva appunto  ‘C’era traffico’.
Quando andava bene arrivava alla fine del serissimo briefing della mattina del direttore e si sedeva come se nulla fosse.
Io fossi arrivata anche soli 5 minuti in ritardo sarei sprofondata.

Poi in pausa pranzo doveva stare un’ora e stava un’ora e mezza.
Se le chiedevi dove fosse finita lei ti rispondeva che le piaceva mangiare con calma.
Mi pare giusto.

Dopo un mese,finita la prova, a lei per una serie di motivi (che vi giuro,non erano neanche  solo questi) non fu rinnovato il contratto.
Arrabbiata lei di ciò cercai di spiegarle delicatamente che “forse” l’arrivare ogni giorno tardi a lavoro poteva aver ,diciamo,facilitato la scelta da parte del direttore.
Lei mi guardò con uno sguardo gelido come se avessi detto la più grossa cazzata dell’universo e mi rispose.
‘It’s an excuse (è una scusa).Non può essere SOLO questo motivo,non si licenzia qualcuno solo per questo.”
E io continuavo ,cercando di spiegarle che essere puntuali in ambito lavorativo è estremamente importante.
Le spiegavo che in Europa se arrivi in ritardo per 3 giorni consecutivi potresti anche rischiare il licenziamento in tronco.
Lei mi guardò come se avessi detto una cosa buffissima.

Infatti scoppiò a ridere.

‘Vale,come on,please stop kidding me’      (Vale per favore,smettila di prendermi in giro)

Niente,inutile, ci avevo solo provato.

Che vi avevo detto?










lunedì 14 aprile 2014

My life in Tanzania (Capitolo 22)'La stagione delle pioggie in Tanzania'



Lo scorso anno in questo periodo ero già a Dar da qualche settimana. 
Quindi avevo avuto modo di capire  cosa realmente fosse ,e più che altro cosa comportasse, una stagione delle piogge.
Lo scorso anno è durata da metà marzo fino a metà maggio ed era già stata abbastanza traumatica.
Non pensate che il problema sia la pioggia in se.
Il problema non è la pioggia ma la trasformazione delle strade. E la conseguente viabilità.
Le strade,che vi ricordo per la maggior parte non sono asfaltate,si riempiono di acqua all’ inverosimile mischiandosi alla terra quindi creando fango.
L’acqua arriva ovunque.




Camminare diventa impossibile a meno che per te non sia un problema camminare nel fango con l’acqua fino alle ginocchia.
Già lo scorso anno, dicevo, ero senza parole.
Solo che io e gli altri “nuovi” expat eravamo sconvolti ma loro, i tanzaniani,sembravano abbastanza sereni. Per loro era normale.
Invece quest’anno la stagione delle piogge è arrivata qualche settimana dopo rispetto allo scorso anno ma non è passata di certo inosservata.
Stavolta ho visto pure i tanzaniani preoccupati.
Che è un tutto dire.






Chiaramente non tutte le strade sono le stesse.
Alcune sono come nel video,”quasi” normali e  altre invece hanno dislivelli che diventano molto pericolosi.
Le fogne, che come avevo detto tempo fa sono aperte e si trovano lateralmente alle strade,durante le piogge si riempiono di acqua a livello della strada e se non ti ricordi dove sono puoi rischiarci di finirci dentro perché chiaramente non le vedi.
Ha piovuto per quasi 3 giorni di fila.
Le strade si sono completamente allagate e in alcune strade era impossibile, oltre che camminare,passare con la macchina.
Alcuni hanno dovuto evacuare le abitazioni,a piano terra.
L’aeroporto si è allagato. La pista si è allagata.
E così così che il giorno dopo nel noto giornale “The Citizen” compare l’articolo …


Sono morte 10  persone.
Di cui  5 di loro erano bambini.
E chissà quanti altri hanno seriamente rischiato di essere trascinati dall'acqua. 
O dal pericolo di alberi o auto in mezzo alle acque.
Hanno dato il red alert ,l’allarme rosso.
Io credo di non aver visto mai niente di simile.



E ho pensato a quanto sono fortunata.
Fortunata ad avere un tetto dove stare ed essermi  evitata ,in parte ,quanto accaduto.
Ma non per tutti è stato così.Non tutti sono così fortunati.
Alcuni non ce l’hanno fatta.
E’ una cosa terribile.
E' terribile anche perché è un loro problema.
 Il governo, i politici hanno i loro SUV e  abitano in zone dove le strade sono asfaltate.
Loro non rischiano.
A loro non importa nulla della loro popolazione.Ognuno pensa per se.
In Italia ,per quanto critichiamo,sappiamo che se ci sono morti,quantomeno i problemi vengono analizzati.
Qui no.Neanche se ci sono morti.
Il politico cammina con il suo SUV con avanti e dietro poliziotti in moto con sirene al massimo che annunciano che “lui” sta passando e che tutti si devono spostare dalla strada per farlo passare.
Lui non può neanche farla, la fila.
Non che da noi sia diverso. Ma non è così. Non così palesemente schifoso.
Ad ogni modo, politici o no,10 persone hanno perso la vita ed è questa la cosa più grave.
Un senso di impotenza ti assale. E ti fa stare davvero male.
Non puoi fare nulla.C'è poco che si possa fare.
Non voglio con questo post mettervi tristezza,mi piace guardare il lato positivo delle cose.
Che non c’è in questo caso...se non di dire...grazie. 
Dire grazie per quello che abbiamo,per quello che noi tutti i giorni diamo per scontato e quasi snobbiamo.
Non tutti siamo così fortunati su questo pianeta.
Non ho scoperto l’acqua calda, sono cose che tutti già sappiamo ma spesso le  dimentichiamo.
Non c'è bisogno di venire in Africa per capire questo.Basta fermarsi un attimo a pensare,e trovare il lato bello di quello che ci circonda.
Lamentarsi porta a poco,anzi non porta da nessuna parte.
Riflettere ed agire invece potrebbero fare la differenza.

Questo post lo dedico a queste 10 persone.
E alle  famiglie di queste 10 persone che ieri  hanno perso i loro cari.











giovedì 10 aprile 2014

My life in Tanzania (Capitolo 21) 'Considerazioni'

Ciao a tutti!!

Qualche giorno fa è stata pubblicata la mia intervista su Italiansinfuga .
Non mi avevano mai fatto un'intervista nella mia vita. Tanto meno sul Blog,figuriamoci.
Quindi ci ho messo un po’ per riflettere sulle risposte.
Chiaro è che era  un' intervista generica e  ho dovuto in poche righe parlare della Tanzania e del Blog.
Cosa non semplice.
Pochi giorni dopo ne è stata pubblicata un’altra per un altro sito,in lingua inglese su   xpatgirls.com .
Tre giorni fa è stata pubblicata un'altra per Viviallestero.com .
Grazie a queste interviste il numero dei lettori è aumentato notevolmente.
Il Blog inizia a girare davvero.
Per quanto io volessi inizialmente evitare di collegarlo a Facebook o ad altri social networks mi resi conto sin da subito che questo era pressoché impossibile.
O perlomeno,non avrei avuto lo stesso numero di lettori.
Per esempio Instagram.
Ho creato un profilo ‘mylifeintanzania’che sta riscuotendo un discreto ma inaspettato successo.
Le immagini in effetti,hanno il loro fascino e sono quelle a colpirti prima delle parole.
E per le parole ,per leggere dunque , serve tempo che non tutti, mi rendo conto ,possiedono.
Grazie a questo Blog sono riuscita a mettere luce su alcuni punti della mia vita e sono riuscita finalmente ad ammettere quanto davvero io sia stata fortunata ad avere avuto la possibilità di una esperienza del genere.
Con il mio blog ho cercato di comunicare inizialmente, come un evento terribile,come perdere il lavoro,possa poi essere usato come “scusa” per poter chiudere una porta nella propria vita e aprire il “famoso”portone di cui si parla spesso.
Non tutto il male viene per nuocere.
Bisogna guardare sempre il lato positivo delle cose, o almeno provarci.
Il primo passo è fondamentale. Non aspettarti che lo facciano gli altri per te.
Tu sei il responsabile di te stesso.
Non permettere mai agli altri di dirti cosa è giusto o non è giusto per te.
Non permettere che i giudizi degli altri ti feriscano e  blocchino il tuo percorso.
Non permettere agli altri di dire chi sei tu.

La Tanzania è una terra meravigliosa.
Senza questa esperienza in Tanzania non avrei mai imparato tutto ciò,non avrei mai visto tutto ciò.
Non avrei avuto modo di arricchire la mia vita con simili esperienze.
Aveva ragione il mio amico M. di cui ho parlato nel capitolo 5 , gli aspetti negativi sono stati superati dagli aspetti positivi
E inizialmente non lo avrei mai detto.
Per esempio,le persone care.Gli affetti.
Questa lontananza "forzata" mi ha fatto capire  quali sono i veri affetti.
Gli amici,quelli veri,ci sono sempre. Anche se vivi a 20.000 km di distanza.
Il post  in assoluto più letto è stato il 16° ‘Che se magna in Tanzania’.
E mi fa ridere perché è stato un post che ho buttato così … senza troppi pensieri.Non mi aspettavo tanto.
Quello che invece è stato per me uno dei più “sentiti” è l’intervista con Akaro (capitolo 19) che è stata davvero emozionante per me. Però ha avuto meno lettori del numero 16.
Strano,no?
Mi piace sapere come il lettore percepisce i miei post.
Le idee mi vengono anche così.
Mi vengono dai commenti e dalle considerazioni dei lettori.
Per questo motivo vi invito ancora a farmi domande e a scrivermi.
Mi fa piacere aver scatenato in voi questa curiosità. La curiosità di capire come si vive in una  grande città di un continente africano.
Del resto io per prima ne sono stata colpita ed è per questo motivo che ho pensato all’idea di questo BLOG.
Ero un po’ restia inizialmente, perché avevo paura di apparire a volte troppo superficiale( per esempio con la twerk dance,capitolo 18) o forse un po’ egocentrica nel raccontare la mia vita attraverso i post(i primi capitoli,in cui parlo unicamente di me)
L’idea che il70 % , credo,delle persone  ha dell’Africa (compresa la mia ,in passato) è completamente differente da quella che invece  è realmente.
Innanzitutto l’Africa ,non dimentichiamo, che è un continente e come tale gli stati sono diversissimi tra loro.
A loro volta gli stati ,presentano tante differenze al loro interno.  
La mia esperienza è relativa principalmente a Dar es Salaam dove vivo, ai Safari e agli altri mini viaggi che ho fatto in quest’ultimo anno.
Probabilmente chi va in Botswana ha un’esperienza,chi va in Congo ne avrà un’altra completamente opposta.
Una delle cose che questa esperienza mi sta insegnando è proprio a non dare le cose per scontate come spesso,involontariamente, tendevo a fare.

Con questo post sto  solo  semplicemente traendo, in qualche modo, le  "conclusioni" di questi primi 3 mesi del blog  e ringraziarvi per la vostra partecipazione.

Tutaonana!!
(a presto!!)










martedì 8 aprile 2014

My life in Tanzania(Capitolo 20) 'Trasporto pubblico a Dar es Salaam'



 La frase ironica di LUI, nei miei primi giorni a Dar es Salaam ,era:


 “ ‘A Va…pijamose er DALLA DALLA”


Dalla Dalla (Dar es Salaam)




Il Dalla Dalla è il bus che fa parte del trasporto pubblico di Dar es Salaam.
Dicevo “ironica” perché vedeva la mia faccia sconvolta mentre guardavo
 questi bus minuscoli ma stracolmi di gente all’ inverosimile.

E' decisamente differente dal Bajaj che è invece una sorta di taxi privato (vedi capitolo 9).
Bajaj


Il Dalla Dalla è chiamato così  da “dollar-dollar” in quanto pare che il prezzo fosse proprio 1 dollaro.
Questi mini-pullmini ,che provengono dal Giappone,sono tantissimi.Anche se minimamente sufficienti alla numerosa popolazione di Dar.
Gli autobus non hanno i numeri come da noi. Ogni bus infatti, ha  una scritta ,nella parte anteriore,che ti dice la direzione .Stop. 
Non è molto semplice utilizzarlo, in quanto non essendoci il numero devi avere almeno una cartina per capire quale sia il Dalla-Dalla giusto.

Dalla Dalla(Dar es Salaam)

Il dalla-dalla all’orario di punta è stracolmo di gente. Credo che ,sulla carta ,abbia una capienza di 20 persone ma ne trasporti anche 50.
O forse anche di più.
L’aria dentro è irrespirabile,spesso i finestrini sono rotti così da evitare ogni possibile riciclo di aria.
Il Costo è di 500 Tsh (Tanzanian scelling) ovvero 20 centesimi di Euro. Può aumentare fino a 800 Scellini se fai un percorso più lungo.
Il Dalla Dalla è un'esperienza di vita che va fatta. Per un europeo potrebbe essere un’esperienza incredibile. O orribile.
Dipende dai punti di vista.
Ovviamente per scrivere questo post  ho dovuto fare necessariamente questa esperienza. Strano ma vero, non avevo mai preso il Dalla-Dalla.



Impieghi il triplo del tempo per fare lo stesso percorso che faresti in Bajaj o in scooter.
Quindi a conti fatti non  conviene. Chiaramente a me, perché  posso permettermi mezzi alternativi.
E ho praticamente “costretto” LUI  a prenderlo con me.
Non so se fosse più divertente il Dalla-Dalla o la sua faccia scocciata e terrorizzata allo stesso tempo.


Funziona così.
Ti metti li alla fermata. E aspetti.
 La fermata non è però sempre  segnalata .
Se non è segnalata lo puoi intuire.
Da cosa?
 Spesso vedi   tanta gente in piedi che aspetta in un determinato punto e questo può portarti alla conclusione che quella sia proprio una fermata dell’autobus.
 Chiaramente il tempo di attesa è variabile. Varia dai 5 ai 90 minuti.
Ma pure a Catania. E pure a Roma.
Quindi la cosa  non mi sconvolge .
Quando arriva ,sali su. E li, vince il più forte.
Staffetta con salto triplo.
Pugni e gomitate.
Oltre all’autista c’è  un altro uomo, una specie di controllore ,che  è li per farti il biglietto. Che si fa SOLO a bordo.
Se sei fortunato trovi posto. Altrimenti aspetti in piedi.
Ora c’è da dire che noi abbiamo preso il Dalla- Dalla in un giorno festivo, di domenica. Quando non c’è quasi nessuno.

 Cosi  so’ boni tutti , diceva LUI.

Sei figo e meriti rispetto se riesci a prenderlo ,invece, all’orario di punta  di un giorno feriale con 50 persone all’interno .E  qualche gallina.
Hai tutta la mia ammirazione in questo caso.
Quando  la tua fermata si avvicina non è che chiaramente premi il pulsante.
Il pulsante non c’è.
Quindi per “prenotare” la fermata devi semplicemente urlare.
Se tu non hai la voce adatta,chiedi gentilmente a qualcuno di urlarlo per te .O se sei vicino lo dici al controllore.
Per quanto io adesso voglia ironizzarci su (il mio blog ha sempre una base ironica ,come sapete)vi dico che ammiro ,ma proprio tanto ,la gente che la mattina si fa anche 2 ore su questi mezzi per andare a lavorare. Dopo 10 ore o più di lavoro non deve essere piacevole .E ricordiamoci le temperature. Che la mattina possono arrivare tranquillamente a 35 °C.
Se piove è pure peggio perché le strade si allagano e le corsie possono ridursi da due  a mezza.
Con la conseguenza che il traffico non raddoppia, ma si moltiplica.
Per loro è una lotta,come disse il mio amico Christopher,che lo prendeva tutti i giorni.
E’ una lotta riuscire a prenderlo ogni mattina. Spesso sono talmente pieni che non puoi neanche salirci e devi aspettare il prossimo.
Ma anche questo mi era noto in Italia, quindi non dubbiamo stupirci.
Se l'autista del Bajaj è un folle,l'autista del Dalla-Dalla è un pazzo criminale.
Ho visto fare cose agli autisti del dalla dalla che noi umani non possiamo neanche immaginare.
Li ho visti fare rapidi sorpassi invadendo interamente la corsia opposta e costringendo il mezzo su quella strada a fare a sua volta manovre impossibili.
Frecce inesistenti.
Il vero pericolo di Dar es Salaam è il Dalla Dalla.
Una volta averne preso atto, la tua vita ,nella città tanzaniana,sarà completamente diversa.
Il progetto di cambiare i mezzi dei trasporti pubblici è presente  e piano piano stanno cercando di introdurre nuovi mezzi molto più capienti.

Chiaramente questo lascia il tempo che trova.
Al momento ci teniamo i nostri Dalla-Dalla.

E staremo a vedere...











 
Dalla Dalla di Zanzibar

Dalla Dalla di Zanzibar

Dalla Dalla di Zanzibar



martedì 1 aprile 2014

My life in Tanzanìa(Capitolo 19) 'Intervista di un Masai'

Oggi parleremo di un altro aspetto che crea molta curiosità.

La tribù MASAI.

I Masai risiedono in Kenya e in Tanzania.
Sono suddivisi in clan e sottoclan e parlano una loro lingua il  MAA.
Tradizionalmente sono un popolo semi-nomade formato da pastori. Oggi invece si trovano in zone precise del paese come Tsavo ,Amboseli, e Masai Mara.
La loro cultura è basata sull’allevamento del bestiame.
Latte e carne per l’alimentazione. Cuoio e pellame  per  l’abbigliamento.
Recentemente anche riso e patate.
Vivono in una società patriarcale. Gli anziani si incontrano per questioni di carattere generale riguardo la tribù e hanno un potere quasi assoluto per la comunità. Anche per questioni di tipo legale.
La punizione dipende dal tipo di reato. Per le cose più semplici basta una richiesta di scuse o un pagamento di una multa sottoforma di bestiame.
Per i casi più gravi ,come un assassinio,potrebbe essere costretto a non poter più passare nelle terre del clan della vittima o potrebbe essere ucciso dalla famiglia di questi senza essere considerati colpevoli.
La vita di un Masai è caratterizzata da riti e cerimonie che segnano passaggi del suo status, dalla nascita alla morte. Questi riti non fanno altro che accrescere il prestigio sociale.
Per gli uomini oltre ai riti di nascita e morte ci sono i riti di moran (guerriero),”giovane anziano” e “anziano”.
Le donne , dopo il matrimonio ,seguono i riti del marito.
Vivono in delle abitazioni chiamate inkajijik ,fatte di rami ,fango e sterco di animale essiccato. Prevedono un recinto spinoso esterno per proteggersi dagli animali selvatici e un recinto spinoso all’interno per accogliere il loro bestiame la sera.
La prima casa sulla destra dall’entrata principale è la casa del capo famiglia ,poi a seguire la moglie e i figli. I  figli dormono per conto proprio dall’età di 5 anni. Dormono tutti separati,anche marito e moglie.





All’interno la casa è divisa in 3 sezioni. Al centro un focolare per cucinare,da una parte il letto della persona e dall’altra parte un letto per bambini piccoli o un ripostiglio.
Personalmente,essendoci entrata vi dico che è davvero microscopico. Assurdo come riescano a mantenere tutto in così poco spazio.
L’altezza della casa è 1.5 mt.
Il loro abbigliamento è particolare.
I masai hanno cambiato modo di vestire con l’arrivo degli inglesi. Dei colonizzatori.
Prima usavano infatti principalmente pellame,adesso invece utilizzano le tipiche coperte chiamate Shuka.








Sono di cotone a quadri, con colori predominanti rossi e neri per gli uomini. Le donne invece hanno delle tuniche blu,rosse o nere.
Il colore può indicare lo status sociale. Le calzature sono sandali di cuoio o ottenuti da copertoni delle auto.
Particolari sono anche bracciali e collane,i quali colori indicano il clan di appartenenza e lo status della persona. Gli uomini hanno un braccialetto di metallo che è estremamente importante perché viene tramandato dal padre ,prima di morire ,al figlio migliore. E’ quindi un segno di rispetto e di saggezza.
Alcuni masai non rimangono nei villaggi ma vanno a cercare lavoro altrove.
Molti vanno nelle zone turistiche come Zanzibar e alcuni si trasferiscono in città.
Molti Masai, infatti, sono a Dar es Salaam .
Principalmente si occupano di security. Li trovi infatti fuori dai supermercati ,alberghi ,ristoranti ,clubs e discoteche. Sono assunti dal proprietario e il loro principale compito è quello appunto di mantenere la sicurezza e di controllare le auto dei clienti.
Non chiedono assolutamente denaro ma se glielo dai,non si rifiutano di certo.
Per entrare meglio nella vita di un Masai, ho deciso di fare un’ intervista.
Così ho chiesto a un mio amico masai se fosse disponibile.
Lui, ovviamente, è stato felicissimo di accettare.

Lui si chiama Akaro.




-Ciao Akaro! Prima di tutto vorrei dirti GRAZIE per avermi dato questa splendida opportunità di intervistarti. Non è una cosa che capita tutti i giorni incontrare un Masai e di fargli delle domande!
Il piacere è tutto mio,anche a me piace raccontare della nostra tribù e so che voi occidentali ne siete affascinati.
-Esatto!Allora dimmi…quanti anni hai e da dove vieni?
Ho 31 anni. Vengo da Kiteto, un distretto a Nord della Tanzania e il mio villaggio si chiama Msata.
-Da quanto vivi a Dar es Salaam?
Vivo a Dar es Salaam da circa un anno e mezzo.
-Ti piace Dar?
Devo rispondere sinceramente?(ride)
No. Non mi piace. La trovo una città caotica e troppo trafficata. Qui non sto bene. Mi sento fuori posto delle volte. E’ completamente diversa dal villaggio da dove provengo io dove invece regna pace e tranquillità .Anche la gente è profondamente differente. Qui sono tutti più nervosi.
Ci vivo unicamente per lavoro,se potessi tornerei al mio villaggio.
-Sono d’accordo,anche io non amo particolarmente il traffico di Dar. Cosa fai a Dar es Salaam?
Faccio sicurezza presso un Hotel. Da un anno circa. Lo stipendio è basso ma me lo faccio bastare.
Divido casa  con un mio amico, un altro Masai.
Per noi è molto caro vivere a Dar.
-Questo è il tuo primo lavoro dopo che hai lasciato il tuo villaggio?
No, è il mio secondo lavoro. Ho lavorato per due anni per un uomo inglese che faceva il fotografo.
-E di cosa ti occupavi esattamente?
Lui lavorava per una grossa azienda e faceva appunto il fotografo.
 Io ero il suo aiutante.
Mi ha insegnato tantissime cose. E’ il mio migliore amico adesso. Si chiama John.
Io lo aiutavo a fare dei reportages,ad andare in zone dove noi masai abbiamo più facilmente accesso.
-Quindi è per questo motivo che parli così bene in inglese?Dove lo hai imparato?
Me lo ha insegnato John.
Quando lo conobbi ad Arusha, lui era in cerca di un aiutante per il suo progetto.
Gli dissi che potevo aiutarlo ma che non parlavo quasi inglese. E lui mi disse che mi avrebbe insegnato a parlarlo come lui.
E così è stato.
-Cioè tu vuoi dirmi che parli così bene in inglese senza mai aver fatto mai una lezione?
Si è così. E’ stata tutta opera di John! (Ride)
-Stupefacente. Complimenti! Ma tu parli anche swahili (la lingua ufficiale della Tanzania) e il maa (lingua dei masai)?
Si ,parlo entrambe le lingue. Il Maa lo parlo con la mia famiglia e lo swahili l’ho imparato da piccolo quando andavamo fuori dai villaggi,nei mercati per acquistare e vendere i nostri prodotti.
-Mi lasci senza parole!Parlami della tua famiglia. Loro vivono tutti a Msata?
Si vivono  li. Loro continuano a vivere di pascolo.
Oltre ai miei genitori,ho una sorella più grande e un fratello più giovane.
Tu sei andato a scuola?
No. Mio padre preferiva mi occupassi dei nostri pascoli e della nostra terra.
Però ho imparato oltre all’inglese altre materie da John.Come la matematica.
 Mio fratello però va all’università.
Tuo fratello va all’università??
Si,studia Chimica all’università di Arusha.
John ha finanziato i suoi studi. Anche per questo gli devo tanto.
Mio padre non voleva,perché diceva che doveva rimanere li al villaggio per lavorare ,ma per fortuna John,mia madre e un mio zio sono riusciti a fargli cambiare idea. Abbiamo anche venduto 5 mucche per dargli altro denaro.
-Questo John deve essere una persona meravigliosa!
Raccontaci della tua infanzia. I primi ricordi che ti vengono in mente.
Mi sono sempre preso cura della nostra terra e dei nostri animali sin da piccolissimo.
Il primo ricordo risale verso i 9-10 anni quando mio padre mi tolse gli incisivi con il coltello.
Anche questo so che ti scioccherà!
Davvero?E perché??
E’ tradizione .Un nostro rito .Però mi sono fatto abbastanza male !(ride)
-Ci credo che te lo ricordi ancora. So che sono molto importanti per voi i riti. Quelli che segnano i passaggi della vostra vita. Parlamene un po’.
Si,moltissimo .Verso i 7-10 anni c’è quella de laiuni in cui avviene la cerimonia della circoncisione.
Poi quella del Moran * dai 15 ai 30 anni. Poi Orpanian * e poi Orcuvia* ( molto grande)  .Ci differenziamo con i vestiti o con gli accessori.
-Chi è che decide il passaggio?
 L’anziano del villaggio. E’ lui che ci fa passare da uno status a un altro. Io adesso sono un Moran.
-Chi ti da questa stoffa?
Me l’ha data mio padre. Sono due pezzi di stoffa legati con una cintura di cuoio .Ne ho un ricambio quando lo devo lavare.
Si compra al mercato delle stoffe. Si chiama Shuka.
-E il bastone?
Il bastone mi viene dato per la prima volta da molto piccolo.
Verso i 5 anni quando mi mandarono  nei pascoli, nelle foreste. E’ un modo per addestrare i ragazzi. Per due/tre mesi sei solo e devi cavartela da solo. Ogni tanto viene qualcuno a portarci del cibo e a farci fare un vero e proprio allenamento di corsa e resistenza.
Cosa mangiate?
Mi manca tanto il mio cibo. Qui a Dar non posso mangiare le cose che mangiavo nel mio villaggio.
Nella nostra terra la nostra alimentazione si basa su carne ,sangue e latte principalmente .
Qui a Dar la carne e il latte sono molto cari.
Quindi mangio principalmente ugali  e verdure.
Ti manca casa tua?
Si,tanto. Torno a casa ogni 2-3 mesi durante i giorni festivi. Vado in autobus. Il viaggio dura 8 ore e costa 20.000 Scellini. Molto caro. (meno di 10€)
Akaro ma gli accessori che indossi hanno un significato particolare?
Si ,sono l’appartenenza alla tribù.
Sono stati fatti a mano da mia sorella.




Akaro io avrei mille cose cose ancora da chiederti. La tua storia è davvero interessante.
Per questa volta però ci fermiamo qui.
Ti ringrazio tanto per la tua disponibilità!
Grazie a te Valentina è stato un piacere parlare con te!



Questa è la mia intervista. E’durata più o meno mezzoretta ma poi lui doveva tornare al lavoro e abbiamo dovuto terminare in fretta.
Akaro, pur avendo imparato a scrivere dal suo amico John (una persona semplicemente meravigliosa) mi ha mostrato qualche difficoltà nei nomi nella lingua “Maa”.
*Questo per dirvi che la pronuncia è quella che ho scritto , ma, ecco, non ci metterei la mano sul fuoco per quanto riguarda il modo esatto in cui si scrive.
Appena arrivai a Dar fui colpita da questa gente. Mi incuriosivano tanto. E tutt’ora mi piace scherzare con loro e farmi raccontare qualche storia.
Spero di riuscire  a parlare ancora con Akaro e di raccontarvi altre curiosità sulla tribù Masai.

Alla prossima!









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