lunedì 24 febbraio 2014

My life in Tanzanìa(Capitolo 13) -Il mondo di un' assistente di volo-

I primi giorni ,quindi, ero sempre in giro distribuendo curriculum vitae per la città.
Volevo provare anche nel settore alberghiero.
Un settore che mi è sempre piaciuto tanto.
Gli alberghi hanno tante storie da raccontare .Un via vai di gente di tutto il mondo. Un incrocio di razze e culture. 
In Italia, non so perché ma lavorare nel settore alberghiero  è difficilissimo.
Prima di mandare cv nelle compagnie aeree ,nel 2004, mandavo cv anche nelle catene alberghiere.
Ma nessuno mai mi rispose, motivo per cui dopo pochissimo tempo persi le speranze e non provai neanche più in quel determinato settore.
Mi dicevano che ci voleva la raccomandazione.
Per lavorare in un albergo!  Naaamo bene.
E molte, moltissime volte mi  sentii rispondere  così.
Ai limiti della decenza fu, in particolar modo un’azienda ,nel settore aeroportuale pero',la cui responsabile delle risorse umane, con molta nonchalance, mi disse che pur essendo in cerca di personale non “ricevevano” curriculum vitae.
E me lo disse in faccia, visto che il cv lo presentai personalmente.
Semplice ,non avevo nessuna conoscenza.
Da denuncia, si.
Questi sono pazzi. Quando inizi,  appena ventenne, a renderti conto di come gira il mondo ti viene tanta voglia di fare le valigie e andare via.
Infatti ero li ,per  farlo.
Non ci stavo mica in questo sporco giochetto. Mi dava davvero fastidio. Non mi sarei fatta umiliare da nessuno, tantomeno per lavorare, pensavo. Inaccettabile.
Quindi ,quando una  compagnia aerea  mi chiamò e poi successivamente mi assunse a tempo indeterminato mi sembrò un evento paranormale.
Un miraggio, perché ero entrata senza conoscere nessuno.
In una azienda molto nota e in via di espansione.
Tanto che molto spesso le persone mi chiedevano( discretissime aggiungerei):
(X)-“ Senti un po’ ma com’è che sei entrata?”
(Io)-“Mmm….ho mandato il cv, ho fatto un colloquio e mi hanno presa. Un po’ come accade nel mondo.(sarcasmo)
(X)- “No, no. Intendo per chi hai votato?”
PARDON???
Queste conversazioni le feci per circa 7 anni.
E’ una  delle domande meno indicate da rivolgere a un’ assistente di volo, che sa bene quanti sacrifici comporti diventarlo.
La seconda domanda meno opportuna per un assistente di volo è :
“Quanto guadagni?”
Mmm…non si chiede. Non è educato. Non si fa. O perlomeno io non lo faccio. Però me lo avranno chiesto miliardi di volte.
Non solo conoscenti e parenti ma spesso anche i passeggeri stessi erano curiosi di sapere la nostra busta paga.
Ci mancava poco chiedessero pure le trattenute Irpef  e l’importo lordo e netto.
Poi,altre domande strane erano cose del tutto prive di senso tipo:
-“Ah ma tu sei quella che fa quei movimenti strani prima di partire ah ah ah” (e facevano il mimo).
Si ,caro mio cavernicolo, quelle sono le dimostrazioni di sicurezza  e  non è che mi diverta a farle  perché mi annoio sull’aeroplano e ho voglia di divertirmi, ma, perché imposte da  certo ente chiamato ICAO (International civil aviation organization) per fornire a tutti i passeggeri una chiara idea su come affrontare alcune delle emergenze che possono capitare su un aeroplano.
Altra domande, davvero insolite erano riguardo questa nuova tipologia di volo, il low cost.
Che ora ,nel 2014 sia, spero chiara per tutti.
Nel 2005 c’erano ancora tanti dubbi e perplessità su queste compagnie LOVE COST (vi giuro le chiamavano cosi'!)che non fornivano in 50 minuti di volo un pacco con n°4 salatini (mio dio!)e un bicchiere di pepsi sgasata.
E vi lascio immaginare che discussioni sono stata costretta ad affrontare  per questi  ipotetici 4 salatini per 7 lunghi anni.
Anche perché alcuni passeggeri pensavano che la colpa fosse degli assistenti di volo ,che ,di nascosto finivano tutti i salatini per non darli  ai passeggeri.
Molte volte da familiari /passeggeri/conoscenti mi sono dovuta sentir dire :
-“ASSURDO…non date neanche i salatini, non siete assistenti di volo come nelle compagnie aeree grandi dove addirittura ti danno pure la cena”(chiamasi  medio-lungo raggio ,dove ,mi pare normale che in 12 ore sia previsto un pasto ,e comunque sia NON sono gli assistenti di volo a decidere ciò ,ma, semmai ,uno specifico dipartimento dell’azienda .)
Se scegli le  ormai note compagnie arabe in business class, caro mio cavernicolo, stanne certo, avrai ben di più di 4 salatini da mangiare. Ma dovrai tirar fuori un sacco di soldini che ti faranno invece rimpiangere le compagnie LOVE COST.
 Un'altra cosa che capita spesso e’ un passeggero particolare.
Un passeggero che purtroppo non conosce compagnie, razze e culture. Lo trovi ovunque.
Un passeggero che ogni assistente di volo del mondo conosce e che riconosce tra la folla prima ancora che questi  emetta un suono.
Lui, il passeggero che ti dice “LEI NON SA CHI SONO IO!”.
La quantità di persone che mi abbiano detto questa frase nei miei 7 anni di lavoro è difficile da numerare.
Che sia una Roma Fiumicino piuttosto che una Mosca Domodedovo trovi quasi sempre questo elemento grottesco.
I motivi per cui ti dice questa frase possono essere vari.
Si va dal cambio di posto  al ritardo del volo o al fatto che gli dici che non può usare la toilet perché stiamo atterrando. Solo per citarne alcuni di esempi.
Lui con tutta l’energia che ha in corpo(stile Dragon Ball) ti dice la famosa  frase che lo caratterizza.
“LEI NON SA CHI SONO IO!”
E da li l’elenco.
Io sono il supermegafigliopadrecuginocognatosuocerononnoamico del presidente della  repubblica o del ministro degli esteri o del proprietario della drogheria del quartiere di Librino(Catania).
Non importa in realtà. Sono dettagli.
Lui è li e te lo deve dire.
Per dirti che lui deve essere trattato in un certo modo, lui non è mica tutti gli altri.
Lui deve essere accontentato per via delle sue conoscenze. 
In genere, possono seguire anche, nei casi più gravi, minacce verbali con ipotetici licenziamenti in tronco(secondo lui).
La vita sugli aeroplani è un’altra storia .E’ un altro mondo.
Uno degli aspetti migliori è il fatto che ogni giorno  cambi colleghi. Che non è una cosa da poco.
Ogni turno hai infatti un crew(equipaggio)diverso.
Se ti capita  l’equipaggio ok ,la tua giornata lo sarà altrettanto. Se invece  ti capita un crew meno piacevole…beh…te lo fai piacere lo stesso. Ma sai che l’indomani ,in genere, non li rivedrai.
Questo bellissimo lavoro, mi ha permesso di fare tantissime cose. Mi ha permesso di viaggiare, molto spesso a costi ridotti .Mi ha migliorata tanto nei rapporti con gli altri. Mi ha aiutata a capire quando stare al mio posto e quando invece parlare. Mi ha permesso di conoscere le stranezze del genere umano e a prevederle .Mi ha insegnato a dire grazie alle persone che lo meritano. Mi ha permesso di conoscere un sacco di persone e di imparare da loro tantissime cose.
Questo lavoro mi ha migliorata sotto tanti aspetti.
Ciò nonostante mi sentivo invece, in quel periodo post fallimento azienda ,come satura di questo lavoro.
E inoltre poche, pochissime compagnie assumevano.
Quelle che assumevano in quel  momento proponevano uno stipendio da fame  e non mi andava proprio. Non adesso almeno.
Sarei stata disposta, dispostissima, invece ,a fare delle rinunce ,anche economiche ,ma per qualcosa che mi avrebbe permesso di imparare altro, qualcosa di nuovo.
Non per ultimo, volevo fare qualcosa che avrei potuto poi continuare anche altrove.
Sapevamo ,infatti, sia io che lui ,che a Dar es Salaam non saremo stati tantissimo.
Mi serviva  quindi qualcosa che mi avrebbe permesso poi di ricominciare, più o meno in  qualsiasi altra città,senza grossi problemi…..
Continua……
Coco Beach, Dar es Salaam
City centre,Dar es Salaam

City centre,Dar es Salaam













giovedì 20 febbraio 2014

My life in Tanzanìa(Capitolo 12) -Ricominciamo...-

Ritornai a Dar.
Già stavolta le mie percezioni erano diverse.
Sapevo già a cosa andavo incontro. C’ero già stata.
Guardavo tutto con occhi diversi. E iniziavo a capire meglio come funzionasse la vita li.
Soprattutto tutti quegli aspetti che apparivano nettamente differenti dall’ambiente occidentale in cui ero cresciuta.
Una delle  cose che solo chi ha vissuto qui o in posti simili può comprendere pienamente è il fattore CALMA.
Mi spiego meglio.
In Tanzania, la vita si svolge lentamente. Molto lentamente.
Non a caso una delle prime parole che si impara in Kiswahili  è proprio POLE POLE (piano –piano).
Che è una parola  che racchiude tante, tantissime cose.
Racchiude sostanzialmente uno stile di vita.
Completamente diverso dal nostro.
Specialmente per me.
Non sono per nulla una persona “calma”.
100 ne penso e 100 ne faccio. Sono così .Semplicemente la calma mi annoia.
 E non penso di essere l’unica. E’ la mia società che mi ha portato ad essere così.
E non sempre questo è un pregio. Anzi.
Qui invece è esattamente l’opposto.
Qui fai una cosa al giorno. Qui viene fatto tutto con una lentezza  tale che per qualcuno, all’inizio può apparire snervante(tipo me).
Tutti gli uffici, i negozi e le attività tanzaniane sono in pole pole style, come lo chiamo io.
Una calma, direi quasi invidiabile.
Esempio.
Vai a mangiare fuori. Un ristorante  normale(alla mano, per dirla easy).
Ti siedi e aspetti. Aspetti 20 minuti che ti portano il menu. Aspetti 20 minuti che vengano a prendere l’ordinazione. Aspetti mezz’ora/un’ora che ti venga portato tutto .Poi  aspetti un tempo infinito per il conto. E per il resto.
E’ così. Ti devi abituare tu.
Ho visto connazionali dare di matto.
 Ammetto che anche io qualche volta ho dato di matto.
Dopo un po’ ti passa e ti sembra strano chi invece non accetta e sbraita animatamente.
Il tanzaniano medio è una bella persona.
In un anno ho conosciuto, neanche a dirlo, persone meravigliose.
Hanno un cuore grande e mai nessuno mi ha mai trattata male o in maniera aggressiva, pur avendo ,io,un colore di pelle differente.
Qui l’estranea sono io. Potevano farlo mille volte .In mille occasioni. Ma mai una cosa del genere. E io sono spesso in giro sola. Anche di sera.
Ma sono lenti.
O forse siamo noi che siamo troppo veloci?
Beh la nostra società è un po’ accellerata. E lo sappiamo.
No so dire esattamente chi alla fine sia quello che sta meglio.
Noi che corriamo alla ricerca continua di qualcosa, (che spesso non sappiamo neanche cosa)  o loro che con la loro flemma passano le giornate serenamente? Mi pare doveroso porsi la questione.
Ho visto pochissime volte un tanzaniano arrabbiato.
E quelle volte , mai come un italiano, per fare un esempio.
Noi abbiamo rabbia dentro. L’italiano è arrabbiato .L’italiano ce l’ha con il suo paese che lo sta trattando come un cretino. E non è una cosa piacevole.
Lo vedi ovunque. Lo vedi negli occhi delle persone. Lo senti nelle parole che vengono dette.
In Tanzania stanne certo che questo problema non c’è. O perlomeno,loro non reagiscono cosi'.
E non è poco. Essere circondato da persone poco scontrose o nervose ti aiuta a stare meglio.
Non c’è competizione. Non c’è lotta.
Questo è uno dei motivi per cui mi piace tanto stare qui.
Chiaro è, che questo è stupendo quando vieni qui a fare la vacanza.
Questo clima rilassato permette di vivere un’esperienza del genere in maniera ancora più serena.
Il pole pole style ti piace. In vacanza.
Quando ci devi invece lavorare  può essere differente.Puo' farti perdere la pazienza,ogni tanto.
POLE POLE (piano piano) è una delle prime parole che imparai in lingua kiswahili(o swahili).
Pole pole credo sia stata una delle prime parole che urlavo sul bajaj quando l’autista non mostrava grande sintonia con il freno del mezzo su cui ero su.
Un’altra parola che imparai subito era Mzungu(leggi muzungu).
Parola che mi ripetevano tutti.
 Soprattutto quando andavo con il bajaj in strade non principali, molto povere, dove i bambini mi indicavano e dicevano alla mamma “Mzungu!!"
Quasi come a definire qualcosa di diverso e di insolito.
Tipo ET L’extraterrestre.
Mzungu vuol dire muso pallido (o muso bianco).
Un modo carino per dire Bianco. Che però, attenzione, non è dispregiativo.
E’ un modo per indicarti, per chiamarti.
Capii sin da subito quindi che un minimo di swahili (leggi "suaili") andasse imparato.
Sia perché molte volte si rivelava utile nella vita quotidiana e sia perché l’opportunità di imparare una lingua nuova direttamente sul posto è senza eguali.
Allora io e una mia amica italiana, anche lei qui per lo stesso motivo, iniziammo a prendere delle lezioni di swahili.
E trovammo un insegnante ,Jeremiah.
Jeremiah fu il nostro insegnante per qualche settimana. Veniva a casa nostra e ci faceva le lezioni.
Non solo ci spiegava la grammatica e ci insegnava a formulare le prime frasi ma ogni tanto ci spiegava com’era la vita Tanzaniana, anche fuori dalla città .Che scoprimmo ben presto essere molto diversa.
Lo swahili non è una lingua esageratamente difficile.
La fortuna per un italiano a differenza degli altri europei, è che a livello fonetico è molto simile.
Quindi puoi leggerlo facilmente. Il suono delle  singole lettere è praticamente uguale, se non per qualche rara eccezione.
Le frasi sono composte da soggetto-verbo-oggetto,come da noi.Ma sono sempre unite in un'unica frase(soggetto e verbo)
Esempio 

Ninapenda  samaki (Mi piace il pesce)

Ni (Io,soggetto)na (presente ) penda(piacere,nel senso di "mi piace...")

Per darvi un'idea di come sia strutturata una frase.

La cosa divertente era, quando ero per strada, tentare di parlare con i tanzaniani in swahili.
Loro felicissimi e orgogliosi  del fatto che io parlassi  la loro lingua non si infastidivano neanche dei miei errori, ma anzi si divertivano un sacco(capito francesi?!).
Se vuoi legarti a una terra quasi sempre devi iniziare dalla lingua.
E’ il primo vero legame .Altrimenti rimani sempre un po’ un estraneo in quel luogo.
Adesso ,dopo un anno ,il mio swahili non è che sia migliorato tantissimo.
E’ essenziale per quello che mi serve. Come ogni lingua ,devi studiare anche. Parlarlo per strada non è sufficiente.
Le prime settimane a Dar ero felicissima.
Andavo a duemila, come si dice.
Dopo qualche giorno dall’arrivo iniziavo a mandare curriculum e presentarmi a vari studi fotografici come fotografa freelance. Avevo fatto pure le business cards(ridevo solo a guardarle).
I primi giorni, in maniera particolare ,avevo un energia che mi avrebbe forse permesso di diventare  Presidente della Repubblica della Tanzania(ovviamente nella mia testa).
Continua……..
Bagamoyo beach


Nungwi, ZANZIBAR

Nungwi , ZANZIBAR















venerdì 14 febbraio 2014

My life in Tanzanìa (Capitolo 11)-Ritorno alla mia realtà-

Tornai in Italia dopo un mese esatto.
Fu insolito quel rientro.
La sensazione che provai sin dall'aeroporto di  Roma Fiumicino fu alquanto strana.
Erano tutti fighi. Tutti troppo belli.
Macchine belle, bei vestiti, bella gente.
Era una gara a chi lo fosse di più.
Mi facevano quasi ridere.
Mi sembravano uno più stupido dell’altro.
Quei primi giorni a Roma passeggiavo per la città.
C’erano i saldi.
La gente faceva la fila fuori dai negozi per comprare vestiti.
Cioè con tutte le cose belle da fare ,specialmente a  Roma, e tu passi le giornate in  fila per comprarti un paio di jeans? Triste.
I centri commerciali mi nauseavano.
Sono dovuta entrare per comprare della roba.
 Ma uscii  poco dopo.
Era troppo.
Tutto troppo. Troppo di tutto.
La prima volta che entrai in un supermercato e provai un senso di panico nel vedere  quegli scaffali così pieni di roba.
No ,non era stato proprio un bel rientro.
Provai un forte disagio, credo, dovuto a un passaggio culturale e  sociale smisurato.
Non lo avevo messo in conto.
Non così.
Ma davvero io prima in questi posti ci stavo bene?
Durò poco ,per  fortuna,pochi giorni,questo chiamiamolo "smarrimento".
Ma comunque, in quel periodo ,iniziai a osservare tutto e tutti in maniera diversa.
Cosa era realmente importante?
Perché la gente è sempre triste?
Perché si lamenta di tutto?
Perché non siamo mai contenti?
La risposta che avevo, e che tenevo per me, per educazione, era semplice.
Perché sta bene.
Sta bene e siccome l’essere umano non si accontenta mai e va perennemente alla ricerca di qualcos'altro,eccolo li’, intento a seguire qualcosa di cui ,poi,non ha realmente bisogno.
Problemi inesistenti. Insomma.
E non davo la colpa al singolo uomo. Ma alla società.
E’ la società che ti stressa. Che ti porta allo stremo.
E una competizione continua.
Tutti siamo li,a gara per essere i migliori.
Le migliori lauree, i migliori lavori, la casa migliore, il telefono migliore, la cena più buona, la macchina più bella, il fisico più figo, la maglia più costosa.
Tutti.
E’ un vortice.
Di cui io non ne ero assolutamente esclusa, ma, da cui mi ero ,semplicemente,allontanata un attimo e ,ritornando,ero  riuscita a vedere oltre.
Ora…non è che servisse andare in Tanzania per capire tutto ciò. Sono cose che in fondo sappiamo già.
E  non che io tornata mi sentissi, come dire ,una specie di Madre Teresa. Ovvio che no.
Solo che ero cambiata.
Quel mese fu diverso perché  ero  diversa  io.
Poi pian piano elabori la  cosa e inizi a realizzare il fatto che la colpa non è tua.
Il gap, o chiamiamolo squilibrio, tra paesi ricchi e paesi poveri  è una cosa che c'è sempre stata e ,forse ,purtroppo,sempre ci sarà.
Ma non abbiamo potere.
Chi ce l'ha,invece, vuole che sia così.Vuole che ci sia il,GAP. E quando inizi a capire meglio tutto ciò ti sembra un concetto paradossale e pensi,semplicemente,che viviamo  davvero un mondo di merda (Pardon).
Comunque sia,queste erano in fondo le primissime impressioni della Tanzania.
Poi mi resi conto che per certi versi era pure peggio,per altri ,invece, non era poi così terribile.
Un mese non è chiaramente sufficiente.
Vedi solo un aspetto.
Dopo un anno qui,credo,di iniziare ad avere una visione,in qualche maniera,più completa.
Torniamo a quel periodo in Italia.
Sapevo che sarebbe stato l’ultimo vero periodo li.
Sarei tornata, certo, ma sarei tornata da “turista”, o quasi.Sarei tornata per brevi periodi.
Non sarebbe stato più lo stesso. Non avrei più vissuto li.
Allora decisi  che l’ideale fosse passare quelle settimane nel migliore dei modi.
Semplicemente divertendomi.
E lo passai  magnificamente.
Feste e serate con amici.Risate.Tante.
Era un modo per dire addio .Un addio felice, tutto sommato.
Addio ad una vita che non ci sarebbe stata più.
Non ne ero triste, ma consapevole che il cambiamento era alle porte.
Ti senti come un bambino di 5 anni quando il 24 dicembre aspetta Babbo Natale.
Non sa cosa lo aspetta ,ma è felice.
Adrenalina.
Nel frattempo fantasticavo su tutte le cose che avrei potuto fare a Dar.
Aveva ragione la mia Teacher a Londra, Miss N.
Potevo fare ciò che volevo.
Chiaro è, che ero consapevole di non avere tre lauree ,due master e un dottorato.
Ma qualcosa su cui puntare ancora ce l’ avevo.
Rafforzai e sistemai il mio curriculum vitae. E soprattutto lo feci in  diverse lingue.
Ne stampai tante copie.
Dovevo essere multidirezionale. E Multitasking.
Ovvero...non potevo più  permettermi di guardare solo in unica direzione.
Non potevo più permettermi, “da grande voglio fare…”
Sono grande.
Non c’è tempo.
Manderò cv ovunque.
Varie direzioni. Varie  mansioni.              
Una delle prime cose che mi balenò in testa era di riprendere in mano la mia adorata macchina fotografica e iniziare a usarla come si deve, in modo  da ,magari, poter puntare sul versante “fotografia”.
Amo la fotografia. Ma con la fotografia non ci campi. Se sei molto bravo ,magari sopravvivi.
Ma non mi sarei sognata di farlo come lavoro.
E’ un lavoro artistico.
Non può essere su richiesta ,pensavo.
In più non ho tecnica.
Mi piace tanto ma ho sempre e solo scattato per me.
Mi piace usare l’istinto.
Ho studiato e sperimentato pochissimo, in fondo. L’ho sempre ritenuto un hobby.
Ma la Tanzania non era come l’Europa.
Non c’era questo surplus  di fotografi.
Potevo portare qualcosa di diverso.
Allora feci una cosa che volevo fare da tanto ,tantissimo tempo.
Un corso, breve, di fotografia.
Non credevo di diventare Oliviero Toscani. Ovvio.
La fotografia è anni e anni di passione e dedizione.
Non si diventa fotografi dalla sera alla mattina.
Ma poteva essere un inizio.
Se la via delle fotografia mi fosse andata male...amen.
Mi sarebbe stato utile comunque acquisire delle  tecniche ,specie  in vista del trasferimento in Tanzania, dove sapevo già avrei fatto una miriade di scatti.
La mia insegnante del corso di  fotografia G., persona stupenda che ancora ringrazio, mi disse quello che volevo sentirmi dire. Esattamente come  fecero Y.(la landlady di Londra, la proprietaria di casa)  ,come  la teacher Miss N. e il mio amico M.
VENDITI.
Sii senza pudore.
Vai a mille.
In Tanzania, hai delle possibilità immense. Non sei in Europa.
E allora decisi che quella  poteva anche essere una delle  soluzioni.
Ovviamente partire da zero significava non avere grossi ricavi.
E non solo in ambito fotografico. Qualsiasi attività avessi fatto, almeno all'inizio ,non poteva certo farmi diventare ricca. Ne ero perfettamente consapevole. Al diavolo, pensavo.
Ma non mi interessava. Non adesso, almeno. Dopo quasi 8 anni qualcosa da parte l’avevo e poteva bastarmi per un po’.
Carica e piena di voglia di fare feci il mio biglietto per Dar per l’inizio di Marzo 2013.
Un biglietto di sola andata.
Un biglietto che significava tanto.
Detta e raccontata così, sembra che fossi priva di paura.
La paura di fallire e tornare indietro più  disperata di prima  era li che ogni tanto si avvicinava.
Solo che la spingevo via, per  far spazio alle mille idee che mi balenavano in testa.
Non c’era spazio per la negatività.
Continua...




Rose and I -Bagamoyo beach-

-Bagamoyo beach-









lunedì 10 febbraio 2014

My life in Tanzanìa (Capitolo 10)-Shopping in Tanzania...o una specie-

Eravamo rimasti…

Ah si che andavo a fare  la spesa allo Shopper’s  Plaza.
Ecco.
Lo Shopper’s  Plaza, o da noi chiamato semplicemente  Shopper’s, è il centro commerciale vicino casa.
Usare la parola centro commerciale è chiaramente un eufemismo.
Io non sono un tipo da borsa Gucci.NO.
O ,peggio  ancora ,dalle ormai viste, riviste e ricopiate borse Louis Vuitton.No
Ma non sono neanche un tipo da  npaio di jeans  e na majetta.
Mi piace andare a fare shopping.
Andare a far  shopping  mette di buon umore, è divertente ma purtroppo alleggerisce il portafoglio.
Specialmente oggi giorno, trovo che ci sia molta più scelta nei nostri negozi.
Da noi ,in Europa,hai solo l’imbarazzo della scelta.
Vai e, con poco, davvero poco ,puoi rifarti un guardaroba.

Questa premessa per  farvi capire meglio lo shock che provai appena entrata allo Shopper’s.

E’ su due piani.
Ci sono negozi classici lavanderia, parrucchiere, negozio di giocattoli ,farmacia, fotografo, un fast food e altro ancora.
E ci sono dei negozi di abbigliamento.
Chiaro è che nessuno ,tantomeno  me,avesse  minimamente pensato di andare in Tanzania e  far shopping.
Ovvio che no.
Ma vedere quelle vetrine mi turbò.

Vedere queste  vetrine






Non sapevo se ridere o iniziare a piangere.

Davvero si mettevano quella roba?
E la cosa assurda era che era pure roba costosa.
Chi si mette quella roba?Chi si compra quella roba?
Molto bene, sin da subito capii che avrei risparmiato tantissimo in Tanzania. Se non altro in ambito di abbigliamento.
Poi entrammo nel supermercato vero e proprio.
E li mi venne un colpo.
Un supermercato grande ma VUOTO.
Prodotti in scatola di tutti i tipi.
Legumi, latte, sughi, salse, cereali...quasi tutto era di importazione.
Tutti brands inglesi e americani.
Con costi raddoppiati.
Reparto  frigo con verdura fresca e frutta praticamente vuoto( prodotti per la maggior parte non di importazione.)
Io che vivevo di insalate  in busta in Italia.
Fighe .
Le Apri,metti nel piatto e aggiungi altra verdura .
Se vuoi essere un po’ accurato gli dai una sciacquata, toh.
Easy, comoda e healthy.
Qui, invece, c’era un lattuga piccola e rinsecchita che mi guardava come per di sto a morî,portatemi via.
Da noi, in Italia, i supermercati hanno di tutto di più.
Cioè  tu delle volte vai al supermercato e non sai cosa  comprare da cucinare a cena.
Perché c’è troppa roba.
Troppa .Talmente tanta che ti fa confondere.
Qui è l'opposto.
Qui, quello che trovi te lo mangi.
Stop. Te lo fai andar bene.
LUI mi disse che il carico della verdura/frutta veniva distribuito uno/due giorni a settimana.
Quindi era consigliabile  fare scorte per poter campare una settimana.
Il banco della carne era anche peggio.
Due pezzi di petto di pollo e carne rossa(beef) di un colore non identificato.
Non pensavo di trovare il carpaccio. No.
Ma non pensavo di trovare il nulla.
Reparto formaggi praticamente inesistente e ,quei pochi, carissimi.
Salumi, manco a dirlo, inesistenti.
Immaginavo  si….ma non così.
Chiaramente quello fu il primo impatto.
Poi ,da li a seguire ,conobbi altri posti e imparai a trovare frutta e verdura fresca. Ma ,nonostante ciò, non esistono assolutamente le varietà e quantità  che troviamo in Europa.Sempre,tutte le stagioni.E tutti i giorni.
Trovai anche la carne.
La carne, quella “normale” si compra in un Butchery(macelleria) chiamato da noi la gioielleria.
Vi lascio immaginare perché.
Un tipo sudafricano ha investito in questo butchery shop in una zona benestante della città.
Ovvero la  Msasani Peninsula.
E ha fatto centro.
Il pesce, penserete ,sia facile da trovare.
Si,ma devi andare in pescheria.
La pescheria di Dar es Salaam è un altro posto sul quale si potrebbe scrivere un intero libro.
Non è lontana da casa mia, saranno poco piu' di 10km.
Ma 10km con il traffico di Dar es Salaam.
Mica 13 km con il traffico di Bergen.O di Copenhagen.
Puoi impiegarci anche una mattinata.
Insomma i primi giorni stavo li a cercare di capire come funzionasse il tutto.
Non era difficile, semplicemente non era facile come in Europa.
In Europa tutto e' semplice.
Vai a Parigi o a Roma, in linea di massima tutto è uguale, in fondo.
Al massimo nella prima troverai le baguettes più buone .
Ma pure a Roma ormai le vendono.
Siamo nell’era della globalizzazione.
Ci assomigliamo sempre di più.
Ci hanno pure messo la stessa moneta,così tanto per non sbagliare.
Qui ,invece, tutto è completamente diverso.
Chiaro è ,che queste sensazioni le proverà,probabilmente, pure chi va a vivere in altri continenti. Non solo in quello Africano.
I racconti degli amici in Cina o in Vietnam sono altrettanto interessanti.
Quel primo mese in Tanzania passò così.
Guardando e osservando.
“Guardando” per adattarmi in questa nuova e stranissima terra.
“Osservando” per capire quale poteva essere il mio successivo step(passo) in ambito lavorativo.
C’era tutto e niente.
Non sapevo da dove cominciare ma da qualche parte bisogna farlo.
E forse qualche idea iniziava a venir su.
Continua……….







venerdì 7 febbraio 2014

My life in Tanzanìa (Capitolo 9)-Il primo bajaj non si scorda mai-

Bienvenue.

O forse sarebbe meglio inziare a dire Karibu o Karibuni?
Karibu (o karibuni al plurale) è “Benvenuto” in kiswahili (o meglio conosciuto come swahili).
Lingua bantu diffusa in Africa orientale, centrale e meridionale, lo swahili è  lingua nazionale  in  Tanzania e  Kenya ma diffusa anche in Uganda, Burundi, Malawi, Mozambico, Ruanda, Zaire e Zambia.
Sicuramente una delle prime curiosità era proprio questa nuova,stranissima,lingua.
Poco male, pensavo .Tanto tutti parlano in inglese. Avrò modo di impararlo in un secondo  tempo.

Sbagliato.

Sbagliato perché ,è vero che l’Inglese è una lingua molto utilizzata in Tanzania. Molta, moltissima gente lo parla. E lo parla anche bene .Alcuni si definiscono pure Native  English,essendo la Tanzania parte del Commonwealth.

Ma lo parla la gente che ha un’istruzione scolastica, aiutata dal fatto che già dall’ high school  (il nostro liceo) le lezioni si tengano  in  lingua Inglese.
Almeno da questo punto di vista sono avanti a noi.
Quindi per  tutto il resto della popolazione(vi assicuro tanta) l’inglese è stentato,basic.
Così  iniziai sin da subito ad avere la necessita di imparare almeno l’essenziale per  poter comunicare.
Il mio primo a giorno a Dar es Salaam mi sembrava di essere sotto effetto di stupefacenti.
Sia per l’essere ancora sotto effetto non-ho-chiuso-occhio-e-sto-rinco-dal-viaggio e sia perché qualsiasi cosa vedessi, sentissi mi lasciava a bocca aperta.
LUI tornò a casa.
Decidemmo di uscire subito per  fare un giro.

Ecco, punto primo.
Non è che tu  a Dar es Salaam dici “…vado a fare una passeggiata…”.
Questa è una cosa che non si fa. 
Non se po’ proprio fa.
Semplicemente  perchè non ci sono marciapiedi.
Semplicemente perché il pedone  non  è previsto.
Puoi camminare si, lateralmente ,sulle  strade. Ma devi stare attento a:
a)non cadere nelle fogne. Che sono li, aperte  e aspettano solo te.
b)che una macchina, proprio in quel momento ,non debba effettuare un sorpasso perché in quel caso sei tu che devi stare attento ad evitare che ti metta sotto.
Superate  e comprese queste prime difficoltà…beh.
Si
Puoi fare una passeggiata.

Il primo pomeriggio andammo a fare la spesa.
E presi per la prima volta un mezzo che divenne, successivamente, molto comune e quasi, direi per me ,familiare.
Il BAJAJ.
O Tuk tuk per gli indiani.
Per  farvi capire meglio immaginate il Bajaj come la nostra Ape (o  lapa come si dice dalle mie parti).

Il bajaj è questo qui







Il Bajaj (leggi bagiagi) è uno dei mezzi di trasporto di Dar es Salaam ed è di origine indiana .
E’ come un taxi, ne' più, ne' meno.
 Li trovi sempre,li, in giro per la città. Fai un cenno con la mano e loro si avvicinano.
Meno caro e più veloce di un taxi (si intrufola tra le macchine quasi come uno scooter) ed è decisamente più confortevole dei bus cittadini chiamati DALLA-DALLA(che meritano un racconto a se, quindi ne parleremo più avanti).
Visto e considerato che non avevamo realmente idea di quanto saremmo rimasti a Dar decidemmo di non comprare/affittare mezzi di trasporto ma ,almeno per il primo periodo,avremmo usato il bajaj per spostarci da una parte all'altra.
Prendere un bajaj è un’esperienza che non si può raccontare, bisogna viverla in prima persona.
Iniziamo con il driver
L’autista del bajaj.
Può avere qualsiasi età. Dai, credo, 18 anni(una volta gli ho chiesto il documento perché mi sembrava andasse alle scuole medie) ai 50-60 anni.
Il bajaj driver è quasi sempre tanzaniano e il suo inglese è un mistero.
Nel senso che ti rendi conto del suo livello di inglese quando ci sei  su, quindi ormai troppo  tardi per poter tornare indietro.
Ti può capitare, per esempio,che tu fermi un Bajaj per strada, e tu chieda di andare in un determinato posto.E,ad esempio,tu debba essere li tra 15-20 minuti.E vuoi sapere quanto costi la corsa.
Lui ti guarda e ti risponde YES.
In questo caso lui non ha capito un cazzo e per gentilezza ti ha detto si.
Succede.

Poi ,almeno all’inizio,devi contrattare.
Mica lui ti dice il prezzo e tu vai. No.
Stiamo li 5-10 minuti a dare numeri,nel vero senso della parola.
E diventa pure divertente,delle volte.Dipende dal tempo che hai a disposizione.
Altre volte,invece,ti senti un’idiota perché ti accorgi che la tua negotiation era di circa 0,80 centesimi di Euro.
Avere almeno un’idea di dove si stia andando è consigliabile ,in quanto spesso le strade non le sa neanche lui.Delle volte allunga i percorsi per essere pagato di più.
Spesso è convinto di avere doti soprannaturali. Pensa di poter passare attraverso le altre auto.
Non si rassegna. La fila non la fa. Lui non ha un’auto. Ha un bajaj. Che fa scherziamo.
Neanche a dirlo i primi giorni ti sembra un matto.
Poi ti pare normalissimo e anzi, diventi peggio di lui.
Gli suggerisci pure dove intrufolarsi per fare le short cut (le scorciatoie)e  lo aiuti a guardare se c’è una macchina che va contromano così può superare tutti.
Ma a questo ci arrivai con il tempo.
Andando per ordine cronologico, dicevo che il primo pomeriggio quindi prendemmo un bajaj e andammo a fare la spesa.
E andammo in un CENTRO COMMERCIALE vicino casa.

Andammo al famoso Shopper’s Plaza.

Continua………





lunedì 3 febbraio 2014

My life in Tanzanìa(Capitolo 8)-Il primo giorno a Dar es Salaam-

Rieccomi.

Dunque, ero arrivata a Dar e mi trovavo sulla Julius Nyerere Road.
Una via, come appunto dicevo, trafficatissima.
Catania, città caotica all’inverosimile, sembrava una cittadina della Cornovaglia,a paragone.
Sembrava una lotta. A chi dovesse passar prima, a chi dovesse andar più veloce.

Fretta.

Che poi è una cosa che rivivo pure a Roma e a Catania.
A Roma come a Dar non è ammesso sbagliare.
Non puoi non sapere la strada.
Se sei li che un attimo sei incerto su una strada stai sicuro che la dietro c’è il tizio che sta maledicendo te, la tua famiglia, attuale e futura, e accompagna tutto da sonori colpi di clacson.

Tutti sono di fretta, tutti  hanno da fare.
Beh,Julius Nyerere Road quella mattina era così.
Una lotta stradale.
LUI mi fece notare che quella strada era la strada che percorreva tutti i giorni per andare a lavoro.
COOOOSA???

Iniziavo a capire perchè i primi giorni diede di matto.
2 h di strada per andare a lavoro e altre 2 per tornare a casa.
Follia. Io ero devastata e lo avevo fatto solo una volta.

Per fortuna poco dopo lasciammo questa via principale e ci immettemmo in strade,trafficate ma non come quella.
Passammo da un mercato.
Un mercato enorme.
Ma non era come un mercato nostro.
Era Pieno. Stra-pieno di gente. Di colori, di odori.
Poi passiamo davanti a quello che sembrava un cimitero. Croci ammassate per la strada, senza senso.
Tra una casa e l’altra c'erano i canali di fogna aperta.
Erano praticamente ovunque. Credo che caderci dentro possa essere un’esperienza significativa(Mon Dieu).
Arrivammo a casa.
E’ un compound.
E’ un residence con due palazzi. Che in Italia sarebbe normale, qui invece sembrava Beverly Hills.
Entrammo dentro casa, ma iniziavo ad essere talmente stanca da non osservare pienamente ciò che avessi attorno.
Entrai in stanza, feci una doccia e crollai sul letto.
Crollo è una parola adatta.

BOOM

Mi svegliai,e trovai un messaggio di LUI accanto al letto,sul comodino.
Diceva che era a lavoro, che a casa ero sola e di riposarmi ben bene. LUI sarebbe tornato dopo qualche ora.Mi consigliò di aspettarlo prima di uscire sola.

Con noi abitava un collega della precedente azienda ,venuto a lavorare in Tanzania.
In un primo periodo infatti dividevano le case con colleghi.
Una coppia di piloti per ogni casa. In seguito ognuno,poi, prese la sua.

Dopo un arco di tempo indefinito decisi di alzarmi. E di esplorare questa casa.
La nostra stanza era grande, con un armadio enorme incastrato al muro. Avevamo il bagno in camera. 
Detta così può sembrare la reggia di Caserta. 
In realtà  era si ,una casa di lusso, ma pur sempre in Africa.
I bordi erano tutti rovinati e sverniciati. Le rifiniture erano alla buona. Non sembrava sporco ma decadente.
Le tende e l’arredamento erano in stile coloniale.
Ma tutto ciò stava benissimo in quel contesto.
Andai nel soggiorno con occhi semichiusi.

Ma una luce fortissima mi abbagliò.
E questa immagine.




WOOOW.
Sono stata a guardare questa immagine per non so quante volte.
Forse è questa l’immagine che voglio conservare davvero. La prima immagine.

Feci il caffè.
Chiaramente un italiano che va all’estero che si porta?
¡Claro,que si!
CAFFETTIERA e CAFFE’.
Non sono una fanatica del caffè espresso all’estero.
Cioè, mille volte m’è toccato bere il beverone nel noto caffè americano tanto conosciuto.
E’ figo, è figo”, dicono. Personalmente vi dico, che te lo fai piacere.
Piace il contesto. 

Piace il free wifi , piace l’atmosfera calda(quando in genere fuori ci sono -20),piace che ci sia tanta gente che in silenzio lavora al pc, piace prendere questo beverone bollente quando le tue mani sono gelide.
Piace tutto. Tranne il caffè. Appunto.
Senza contare che poi hai bisogno di una toilet a portata di mano.
Non sono una di quelle che all'estero deve per forza andare alla ricerca dell’espresso perfetto e se lo fanno male(as usual)faccio pure polemica. No.
L’ESPRESSO (vero)è una cosa italiana che trovi in Italia. Stop.
Inutile pure pretendere.Noi italiani dobbiamo capirla bene questa cosa.Farcene una ragione.
E’ come se volessi mangiare un arancino a Milano.
LASCIA STARE PROPRIO.

Invece,vista la mia lunga permanenza in Tanzania decisi di portarmi tutta l’attrezzatura.

Sorseggiavo, quindi, questo caffè e mi guardavo intorno.
Questo soggiorno-living era molto grande.
Era un unico ambiente con sala da pranzo e cucina all’americana.
Tutto sempre in quello stile che io definirei “coloniale-trascurato”.
Semplice,nel complesso.
Ma non era quello ad attirare la mia attenzione.
Erano delle grida.
Dei bambini.
Accanto casa nostra c’era una scuola.
Credo elementare.
Erano, forse in ricreazione, pranzo.
Da queste gigantesche finestre vedevi tutto.
Vedevi un mondo.


Il mare, la spiaggia ,le palme, la scuola, i grattacieli in fondo.
I grattacieli.
Mica sapevo ci fossero i grattacieli a Dar es Salaam.
Almeno io per la strada non li avevo mica visti.

Ma che città è?
Non vedevo l’ora di uscire.
Sinceramente la prima cosa che volevo fare era prendere la borsa e fare una passeggiata.
Vedere cosa ci fosse intorno a noi.
Ma, pare ,che mi debbano fare un briefing.
Pare che mi debbano spiegare come funzionano un po’ di cose.
Che sarà mai.
Mi prendeva in giro LUI prima di arrivare.

Non è che trovi la tube, Vale.

Beh la Tube non c’è pure a Catania e sono cresciuta benissimo pure prendendo ,ogni mattina ,per 5 anni ,il mitico bus 721 pieno zeppo di adolescenti addormentati.
Non è che vengo da Manhattan.
Vengo dall’Italia.
Dall’Italia non turistica.
Quella che quando piove si allaga tutto.
Quella che devi stare attento altrimenti ti sfilano il portafogli.
Quella in cui le persone anziane vengono scippate e trascinate.
Quella dove gli zingari camminano liberamente per la città creando veri e propri reati(e nessuno dice nulla).
Non vengo mica da Oslo.
E magari tutto ciò capitasse solo a Catania.
Nord e Sud da questo punto di vista non sono antagonisti ma protagonisti di una stessa realtà.
A Catania, poi, c’è il mitico quartiere di Librino ,da cui ,dovevo passare ogni mattina per andare a lavoro.

E Librino non è High Street Kensington.

NO.

Allora aspettai che arrivasse LUI e i gli altri ragazzi per uscire a fare un giro.

CONTINUA…